Sacconi e crescita frenata del Paese

La Commissione Europea e l’Ocse disegnano per l’Italia nel 2015 una modesta prospettiva di crescita perché esclusivamente trainata dalla sola domanda esterna, senza alcuna occupazione aggiuntiva. Il confronto dell’Italia con le aree di maggiore riferimento nell’Unione appare troppo debole. C’è un miglioramento dei conti pubblici ma è purtroppo correlato,  nel contesto, ad una abnorme dimensione del nostro debito. Ciò impone al Governo, ed alla sua maggioranza,  la considerazione di fare, a partire dal negoziato europeo, una flessibile interpretazione del Patto di stabilità e crescita. Si ha la sensazione che gli obiettivi perseguiti siano la solita possibilità di qualche spesa corrente in più, come la stabilizzazione degli insegnanti, e maggiori investimenti pubblici nella speranza che siano uno stimolo allo sviluppo. Diversamente, ed ambiziosamente, dovremmo pretendere una visione condivisa del posizionamento dell’area dell’Unione attraverso l’avvio degli strumenti finanziari di attuazione di quelle infrastrutture,  a valenza transnazionale, che corrispondano alle proiezioni commerciali verso est e verso sud dell’Europa. Assumerebbero rilievo le riforme strutturali cui ci siamo impegnati per rendere la nostra società più vitale e dinamica. L’ immissione straordinaria di liquidità da parte della Bce non appare destinata a sortire effetti nei contesti rigidi ed inefficienti come il nostro tanto e si ha il compito di produrre riforme vere e tempestive. I maggiori freni alla crescita sono evidenti nella regolazione rigida del lavoro, nella complessità dell’ordinamento tributario e nella lentezza e imponderabilità del sistema giudiziario. La riforma del lavoro può ancora risolversi in un piccolo passo avanti e due passi indietro. Se ad una flessibilità in uscita incerta e per i nuovi contratti si aggiungesse una rigidità in entrata certa, ripeteremmo l’errore della legge Fornero che concorse a bruciare i posti di lavoro. Maurizio Sacconi in tal senso è chiaro: “Non possiamo rimanere l’unico Paese europeo in cui un rapporto di lavoro e’ potenzialmente per sempre finché morte o pensione non separino. Così come cambiare ancora una volta i contratti a termine o cancellare le tipologie contrattuali flessibili significherebbe non comprendere i concreti bisogni delle imprese e ridurre le concrete opportunità di lavoro che possono richiedere modulazione di tempo e di orario o remunerazione a risultato. Analogamente la riforma fiscale può risolversi in maggiori certezze per il contribuente, ponendo le premesse per una riduzione del prelievo, o produrre ulteriori incertezze e nuove ragioni di tassazione. Emblematico e’ il nodo del catasto e del mercato immobiliare. In una società di proprietari, come noi siamo, lo spostamento drastico del pendolo dalla più conveniente alla più sfavorevole tassazione su case, negozi e capannoni ha trasformato la proprietà da tradizionale fonte di sicurezza a nuova ragione di insicurezza, probabile causa primaria della contrazione dei consumi tanto quanto ieri ne costituiva la motivazione. Rimuovere questo fattore di rattrappimento significa intervenire sulla finanza locale affinché si realizzino subito le associazioni obbligatorie tra comuni per la gestione delle funzioni fondamentali e commissariare gli enti che deliberano aliquote superiori al teorico equilibrio con spese corrispondenti ai fabbisogni standard. La revisione del catasto, in questo contesto, può generare una distribuzione più equa ma non un incremento del carico fiscale. Ultimo ma non ultimo, tra i nodi prioritari, quello della giustizia che determina inibizione ad intraprendere ed investire. Criminalità e corruzione meritano prevenzione e repressione. Siamo tuttavia consapevoli che i risultati si producono solo in contesti efficienti e non attraverso l’estensione abnorme della dimensione penale e delle relative pene. La stessa ricerca di soluzioni stragiudiziali per il contenzioso civile e del lavoro si scontra con resistenze corporative e ideologiche. Dell’ordinamento giudiziario e delle sue anomalie non sono ancora ipotizzate specifiche riforme, ferie a parte.
Siamo insomma, ancora una volta, ad un bivio tra riforme vere ed occasioni mancate in un tempo che non perdona gli errori o le timidezze della politica”.

 

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