23 maggio 1992, 30 anni fa la strage di Capaci

Sono trascorsi esattamente trent’anni da quel 23 maggio 1992, quando una carica di tritolo sventrò un tratto dell’autostrada tra Palermo e l’aeroporto di Punta Raisi uccidendo il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Vi furono 23 feriti, fra i quali gli agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e l’autista giudiziario Giuseppe Costanza. Oggi Palermo ricorderà le vittime di quell’attentato oche ha segnato la storia del Paese con tante iniziative organizzate dalla Fondazione Falcone e che si concluderanno con la cerimonia al Foro Italico, alla quale parteciperà il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.  Tante condanne, molti processi hanno cercato di far luce sulle verità dietro la morte di Falcone, ma rimangono nell’ombra ancora i livelli esterni a Cosa nostra. All’origine dell’attentato fu la grande azione di contrasto alla mafia portata avanti da Falcone, uomo simbolo del pool antimafia che aveva ottenuto la condanna definitiva dei vertici di Cosa nostra nel Maxiprocesso. Ma chi cancellò l’esistenza del magistrato lo fece anche per fermare la sua azione repressiva che sarebbe stata ancor più incisiva con l’assunzione dell’incarico di direttore dell’Ufficio Affari Penali al ministero della Giustizia. Il 26 settembre 1997 il processo agli esecutori dell’attentato si concluse con 24 ergastoli e pene inferiori per cinque collaboratori (Salvatore Cancemi, Mario Santo Di Matteo, Calogero Ganci, Gioacchino La Barbera, Giovan Battista Ferrante). In appello si sono aggiunti altri cinque ergastoli ma dopo due annullamenti la Cassazione ha definito i giudizi confermando la responsabilità di Totò Riina, Bernardo Provenzano, Francesco e Giuseppe Madonia, Pippo Calò, Pietro Aglieri e gli altri componenti della “cupola”. Uno dei processi celebrati a Caltanissetta ha messo a fuoco il ruolo di Matteo Messina Denaro che il 21 ottobre 2020 è stato condannato all’ergastolo. Decisivo, secondo i giudici, sarebbe stato il suo sostegno al piano criminale elaborato dagli uomini di Riina. Prima della sentenza su Messina Denaro il 21 luglio 2020 la corte d’assise d’appello di Caltanissetta aveva confermato la condanna all’ergastolo di altri quattro imputati – Salvatore “Salvino” Madonia, Giorgio Pizzo, Cosimo Lo Nigro e Lorenzo Tinnirello – e l’assoluzione di Vittorio Tutino. Dopo trent’anni la vicenda processuale non è ancora conclusa.

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