Lilli Gruber, in ‘Non farti fottere’, tra pornografia e ‘pandemia del sesso’

E’ in questi giorni in libreria un  volume della giornalista Lilli Gruber dal titolo provocatorio: “Non farti fottere” (Rizzoli, pp. 222, euro 18) che si addentra nei meccanismi di un sistema che è ormai quello dal quale gli adolescenti, senza intermediari, apprendono la grammatica distorta delle relazioni tra i sessi. Non solo, leggendo le pagine del libro non si può fare a meno di interrogarsi sull’effettiva libertà di attrici e attori costretti dalla legge spietata della concorrenza a girare scene sempre più violente. Tra queste in particolare una delle più ricercate è la gang bang che ci riporta alle sconcertanti affermazioni della ginecologa Alessandra Graziottin, intervistata nel libro, secondo la quale lo stupro di gruppo è ormai divenuto, per i maschi, una sorta di “rito di iniziazione”.

Il libro di Gruber, al di là della preoccupazione di respingere accuse di moralismo ha il merito di ricondurre al business, al profitto, alle dinamiche di sfruttamento capitalistico il supermercato online del porno. Con un appello finale ai più giovani: “Non fatevi fottere. Uscite dal sexy shop virtuale, perché non è vero che lì si trova tutto. Mancano le sfumature dell’erotismo, i percorsi più avventurosi del desiderio, la curiosità per il corpo e la mente degli altri. Manca il rispetto per la vostra dignità, perché lì siete soprattutto merci, non persone. Mollate lo smartphone e riprendete in mano la vostra sessualità“.

Ciò che colpisce leggendo il libro di Lilli Gruber è però anche un altro aspetto, e cioè l’affinità di alcune preoccupazioni espresse dall’autrice con le analisi tratteggiate quasi settant’anni fa dal filosofo tradizionalista Julius Evola e che oggi sono riproposte al lettore nella raccolta di articoli (curata da Paola De Giorgi) dal titolo “Il problema della donna. Scritti sulla femminilità 1921-1971“. Ebbene cosa sosteneva Evola,  non immune da tendenze misogine? Che la “moderna pandemia del sesso” era destinata a mortificare la libido e creare forme di “lussuria cerebralizzata”. A condurre insomma a una vita sessuale non attiva ma passiva, leggi  ‘il consumo di video porno’. Il che per Evola, che scriveva queste cose nel lontano 1957, e che non parlava di pornografia ma di “nudismo”, significava rovesciare la visione classica delle virtù: più in alto quelle spirituali, più in basso quelle legate al ventre. “Necessaria sarebbe invece – concludeva – una superiore libertà, quella che può solo essere data da dimensioni superiori dell’essere che nell’attuale regno della quantità e della materia l’uomo ha quasi perdute. Stato del quale la conseguenza non sarebbe affatto la repressione del sesso ma il possedere il sesso anziché esserne posseduti’.

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