Sondaggisti divisi: quanto vale un partito di Di Maio?

“Il Movimento 5 Stelle ha tradito completamente la promessa che ha fatto agli elettori-. Il Movimento 5Stelle deve sparire democraticamente, Conte e Di Maio sono macchiette politiche e tutti coloro che hanno approfittato dei cittadini devono tornare all’oscurità da cui sono partiti”, le parole di Gianluigi Paragone di Italexit a margine di una iniziativa del partito a Napoli.

«Che fai, mi cacci?», le parole di Gianfranco Fini dirette a Silvio Berlusconi.  Ormai il dibattito interno al M5s è ridotto a due alternative: cacciare Luigi Di Maio o aspettare che se ne vada lui. I segnali sono espliciti. E se gli uomini più vicini al ministro degli Esteri non escludono più la possibilità di uscire dal partito, i dirigenti contiani fanno tintinnare la sciabola dell’espulsione dell’ex capo politico.

Un epilogo clamoroso, ma che viene evocato da due dei cinque vicepresidenti di Giuseppe Conte. Parte Alessandra Todde, che è anche esponente di governo, nel ruolo di viceministro dello Sviluppo Economico. «Credo che Di Maio, parlando in una certa modalità, si stia ponendo fuori dal Movimento», dice Todde dal palco del Blue Forum Network di Gaeta, lo stesso da cui qualche minuto prima Di Maio aveva tuonato contro la leadership pentastellata. «Sono un incassatore, ma certo se uno pone un tema e si risponde con attacchi personali quello non è un problema per me ma una deriva del M5s. È un movimento che vede in corso una radicalizzazione politica: invece di guardare al 2050 sta guardando indietro», l’affondo del titolare della Farnesina. Seguito appunto dalle minacce di Todde: «Abbiamo degli organi interni in cui dibattere, come il Consiglio Nazionale. La discussione deve essere fatta lì, se viene fatta a mezzo stampa ci si assume la responsabilità di quello che si fa». Di Maio prima aveva anche ribadito la sua posizione sulla regola del doppio mandato. «Se si sta tornando indietro non bisogna cambiare la regola dei due mandati, sono d’accordo con Beppe Grillo», la riflessione del ministro degli Esteri. Che poi torna sulla linea politica di Conte: «Oggi la vera sfida è creare soluzioni complesse a problemi complessi, non avere una lista della spesa». In caso di scissione o di approdo verso un contenitore politico diverso, magari «L’Italia C’è» che si appresta a lanciare il sindaco di Milano Beppe Sala, l’ex capo politico potrebbe essere seguito da cinquanta-sessanta parlamentari. Ma i numeri sono variabili e un no al terzo mandato potrebbe creare smottamenti filo-Di Maio nei gruppi di Camera e Senato, perfino tra i contiani. Infatti la possibile soluzione di concedere altri due mandati in istituzioni diverse – Regioni, Comuni e Europarlamento – non convince nemmeno qualche big vicino a Conte. Su tutti la vicepresidente del Senato Paola Taverna, che secondo i rumors starebbe mostrando segnali di irritazione nei confronti dell’ex premier.

Quanto varrebbe un partito di Luigi Di Maio?  I sondaggisti si scatenano, avanzando  previsioni. «Vedrete che farà la scissione e si butterà sul centro», dicono alcuni “contiani” intercettati dal Messaggero. Le indiscrezioni sul nuovo partito a guida Sala,  pagato da Librandi può prendere quota, ma molti altri   attendono a braccia aperte il possibile scissionista in rotta con Conte:  Emilio Carelli, ex pentastellato ora Coraggio Italia con  Toti e Quagliarello, ha fatto sapere che lo accoglierebbe a braccia aperte. Così quel  un pezzo del Pd rappresentato dal senatore Andrea Marcucci.

«Azzardare una stima è molto complicato premette Antonio Noto di Noto Sondaggi. Molto potrebbe dipendere dal posizionamento politico, al centro oppure nel cosiddetto campo largo». Non solo, l’incognita di una nuova legge elettorale in senso proporzionale, “spianerebbe la strada ai partiti personali”.

«La scissione potrebbe rappresentare il colpo mortale per il Movimento, già alle prese con un calo dei consensi che oggi si attestano tra il 12 e il 13 per cento». Di Maio è più in simbiosi con la storia dei Cinquestelle, da sempre: “nella percezione degli elettori è più legato a quel simbolo rispetto a Conte. Se se ne andasse, potrebbe danneggiarlo molto

Noto solleva poi una questione di marketing politico secondo la quale Di Maio farebbe la cosa giusta a mollare il Movimento:  «Il marketing politico funziona come quello aziendale. È difficile rivitalizzare un marchio in decadenza, almeno nel breve periodo. Per Di Maio potrebbe essere più facile puntare su un nuovo brand, magari unendo le sue forze con quelle di altre figure in cerca di riposizionamento».

Enzo Risso, direttore scientifico dell’istituto Ipsos, consultato dal Messaggero,  fa notare la “maledizione” che si è abbattuta negli ultimi anni su «chiunque abbia lanciato un proprio partito personale». Che di media si sono assestati su percentuali a una cifra: “mediamente attorno al 3 per cento”. L’area centrista in questo momento è molto presidiata.

«Un conto – precisa Risso-  è guadagnarsi la simpatia di un elettore dall’interno di un partito. Un altro fare in modo che questa simpatia si trasformi in voto nel caso in cui si decida di abbandonare quel contenitore».

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