Recensione di Roberto Staglianò su ‘Euhoè’, con Daniele Parisi, messo in scena al Teatro Vascello di Roma

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, la recensione di Roberto Staglianò su ‘Euhoè!’,  con Daniele Parisi, messo in scena, in data unica, al Teatro Vascello di Roma.

 

E quando si spengono le luci in sala, in quei brevi minuti in cui ci si chiede da quale lato o angolo del palcoscenico entrerà l’attore, ecco che arriva l’imprevisto con la percezione di passi corti, rumori e impercettibili scricchiolii. Questa è la magia del teatro, dove tutto è sorpresa e ritmo. Un riflettore puntato illumina la gradinata centrale delle scale e Daniele Parisi entra come una sorta di messia, tutto vestito di bianco, attraversando il pubblico/popolo. Siamo al Teatro Vascello di Roma per il tanto atteso one-man-show ‘Euhoè’, con la produzione di 369gradi e la direzione di Valeria Orani. Lo spettacolo ideato insieme agli artisti del progetto ‘Filetti di sgombro’, ovvero la rassegna del Nuovo Cinema Palazzo che ha riunito, nel nome del varietà, la nuova scena romana di artisti ispirati e comici sagaci che hanno idee virtuose e tanti guizzi di fantasia. Dopo ‘Il mio occhio destro ha un aspetto sinistro’ di Ivan Talarico e prima della chiusura prevista con Claudio Morici, con le due date del 30 e del 31 marzo di ’46 tentativi di lettera a mio figlio. ‘Euhoè!’ è l’appuntamento centrale, la prima nazionale e unica data del 25 febbraio ha riscosso un clamoroso sold-out.

Parisi si è formato all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico, ha saputo costruirsi una carriera mediante una valida selezione di progetti realizzati spaziando tra teatro, cinema e televisione. Nel 2016, infatti, ha vinto il Premio NuovoImaie Talent Award come Miglior Attore Italiano Esordiente al Festival del Cinema-Venezia73 e,nel 2017, quello come Miglior Attore al  Monte-Carlo Film Festival de la Comédie.

Daniele Parisi è coerentemente romano, cresciuto nella terra di mezzo tra Ciampino e Albano laziale. Con i suoi personaggi ricorda un po’ il giovane Enrico Montesano e, molto di più quel ‘A me gli occhi please’ di Gigi Proietti, il quale a suo tempo venne definito come l’erede di Petrolini. La sua non è una riproduzione, è un’ispirazione che vola alto traducendosi in qualcosa di unico e personale ma che continua la tradizione del passato. Gettando uno sguardo su quel futuro che sembrerebbe compromesso al suo arrivare in scena come una sorta di messaggero bianco, una presenza spirituale che esorta il popolo e annuncia la fine imminente, conseguenza della catastrofe in cui è sprofondata l’umanità tra disastri, cataclismi, derive socioculturali e stagioni impazzite. Non è inverosimile che sia un dio o un suo messo ad introdurre la narrazione di ‘Euhoè!’.

Non la introduce soltanto, anzi, ritorna spesso in vari momenti diventandone il personaggio principale: la voce narrante e l’oracolo. Ma chi rappresenta quel menestrello vestito di bianco che irrompe, canta stornelli, suona la chitarra, usa con dimestichezza la loop station? È Geova? È il Quèlo di Guzzanti: ‘la risposta è dentro di te epperò è sbagliata’ ? È un dio pagano, è Dionisio? ‘Euhoè’ è l’esclamazione di giubilo delle Baccanti in onore di quel dio, Dioniso, che i greci consideravano di origine straniera. In Tracia era tradizione invocarlo a gran voce sul sacro monte Nisa. I celebranti lanciavano la loro preghiera affinché il Nume si manifestasse: ‘Evoè’. In greco euòi, in latino euòe/euhòe.

Il popolo/pubblico non invoca gridando al Teatro Vascello, ma partecipa e osserva: da lì a breve emergeranno, da un semplice sipario bianco a cinque facce posto al centro dello spazio scenico, tutti i personaggi del repertorio di Parisi. C’è Francè, il ragazzo con il giubbotto rosso, che aspetta da due ore Luana è che forse è andata con Piero di “Trasloco sicuro”.

In quell’attesa c’è il senso di quasi tutta l’umanità: la sopportazione, la delusione, la rabbia, la rassegnazione si rendono liquide proprio come i fermenti lattici di Maurizio (saranno vivi davvero?  Hanno capacità di intendere e di volere?). C’è la signora che ‘ch’ha da fa’. Nando con la sua trattoria. C’è l’uomo che passa fischiando attirato da tutto quel clamore del condominio. In tutto questo delirio di esilaranti gag e ottima prove di trasformismo e comicità pura, Parisi è sempre sul pezzo, cavalca le emozioni sempre a tempo. C’è un programma per l’umanità, un’offerta ‘minuti illimitati con l’Altrove’ perché parafrasando una battuta ‘che storia è questa che adesso non vuole più morire nessuno?’. E mentre la società e il condominio si agita tra ‘la fine è vicina’ e il ‘non ci sono problemi’ esplode il manifesto esistenziale, fulgido come un bagliore. L’uomo contemporaneo ha bisogno di osare e può farlo solo attraverso il cibo proibito. L’elogio allo zozzone è il momento più alto dello spettacolo. Nel cuore della notte esagerando con schifezze e cibo spazzatura, gli uomini dallo zozzone si ritrovano ad essere tutti vivi, veri, uguali.

‘Euhoè!’ non indica una via o una soluzione finale. Il messaggero bianco, lasciando la giacca rossa sul palco, esce così come entrato, dopo un’ora di cerimonia, di risate, applausi fragorosi. Ci vuole ricordare alla fine che il vero fallimento è sentirsi inutili. E l’alba di una nuova era forse sarà possibile aggrappandosi a qualcosa. La vita in fondo è un misto tra ricerca/dialogo con Dio, morte, fine, eterno ritorno, ma è anche come il menù della trattoria di Nando. Un tripudio luculliano con ‘carciofi, baccalà, impepata di cozze fresca fresca, carne, pesce, facciamo mare e monti, spinaci patate ma…no broccoletti!’.

Roberto Staglianò

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