Più di 7 anni di crisi hanno avuto un impatto duro sul tessuto produttivo meridionale distruggendo un quarto delle 29 mila piccole e medie imprese meridionali attive nel 2007, e ha ridotto a microimpresa un altro 25% di quelle rimaste. Questa è la fotografia, contenuta nel rapporto Pmi Mezzogiorno 2015 curato da Confindustria e Cerved. Nonostante questi dati, evidenzia lo studio, oggi sono numerosi i segnali di una possibile inversione di tendenza, grazie all’introduzione delle srl semplificate, la natalità delle imprese meridionali, negli ultimi due anni è superiore a quella pre – crisi. Nel 2014 sono nate al Sud, 29 mila delle 83 mila nuove imprese in Italia, diminuiscono fallimenti e liquidazioni volontarie, si riduce del 10%, rispetto al 2013 lo stock di fatture non pagate e calano i tempi di pagamento. Dunque i principali segnali della ripresa del 2014, si cominciano a vedere in termini di aumento della natalità delle imprese e delle migliori condizioni di sopravvivenza. Con alcuni distinguo geografici: in Basilicata, Campania e Abruzzo, il rapporto registra la maggiore vitalità; dalla Puglia arrivano i dati più contradditori; Calabria,Sardegna e Sicilia presentano le maggiori difficoltà. L’analisi suddivide le imprese in gazzelle ( sono quelle che nonostante la crisi, sono riuscite a crescere a ritmi più sostenuti, cioè le imprese che tra il 2007 e il 2012 hanno raddoppiato o più il proprio fatturato ; a questa categoria di imprese viene assegnato il compito di trainare la ripresa), zebre ( quelle che hanno avuto minori aumento di fatturato) e gamberi ( quelle che hanno visto ridurre il fatturato). E’ ovviamente sulle gazzelle che si scommette, a patto che siano affiancate dalle zebre e che diminuiscano i gamberi. Le stime di Confindustria e Cerved per il 2015 sono timidamente positive, le Pmi meridionali dovrebbero veder crescere sia il fatturato il quale dovrebbe passare dal 1,2% di quest’anno al 2% nel 2016, sia il valore aggiunto +2,1% nel 2015 e +2,6% l’anno successivo. Più contenuto invece il miglioramento previsto dei debiti finanziari, rispetto al capitale netto, segno che la vera partita della crescita si gioca sul versante finanziario.
Fabio D’Amora