“E’ assai arduo definire cosa sia in questo momento storico la sinistra in Italia. Dubito che esista una frazione del mondo politico odierno per la quale si possa usare la parola ‘sinistra’”. A dirlo è il professor Alberto Asor Rosa, storico della letteratura e critico, in un’intervista a La Stampa.
“Da tempo, nelle forze politiche di un certo rilievo la connotazione di “sinistra” è più o meno assente. Forse la componente estrema che va da Liberi e Uguali a Sinistra italiana può aspirare a definirsi di sinistra. Ma perfino a loro manca un significativo rapporto con le classi popolari” tanto più sotto un profilo: “Ho seguito con attenzione Zingaretti – analizza Asor Rosa – quando domenica ha esposto le sue ragioni nel programma tv di Barbara D’Urso. Nicola mi ha deluso parecchio. Con mia sorpresa, ha tracciato un quadro del Pd molto positivo. Lo ha descritto come un partito nel quale sono presenti forze sane che possono reagire alla situazione data. Ma allora, perché se n’è andato? Doveva restare a combattere assieme con quella parte del partito nella quale ripone fiducia”.
“Trovo coerenza solo se penso alle parole usate dal segretario dimissionario quando aveva annunciato di lasciare” aggiunge, “e non invece a quelle pronunciate dalla D’Urso. Se è vero che nel Pd, in una fase così grave della vita del paese, si parla solo di poltrone e di primarie, come aveva detto Zingaretti, il suo gesto ha un senso. Ma è anche la testimonianza di un problema di enorme portata: neppure dentro al suo partito vi sono energie in grado di cavalcare la crisi e di portarla a un esito positivo?”, si chiede Asor Rosa. Secondo il professore “nel Pd vi erano serie difficoltà preesistenti che sono precipitate con l’avvento del governo di Mario Draghi.
I nomi circolati nelle ultime ore, da quello di Anna Finocchiaro a quello di Roberta Pinotti rispondono più a “criteri di consenso che non a una effettiva praticabilità di queste ipotesi”, viene spiegato da una fonte parlamentare. Chiunque verrà eletto, è il ragionamento, dovrà avere una forza e una autorevolezza tali da potere “giocare nello stesso campo” di Matteo Salvini e Silvio Berlusconi senza lasciarsi schiacciare. E’ anche per questa ragione che non sembra praticabile la via di un segretario unitario, che nasca dal compromesso fra le varie anime del partito e, quindi, esposto ai diktat delle correnti.
Contro l’ipotesi di un segretario “unitario” si esprime il dirigente dem, Stefano Vaccari: “La scelta politica di Nicola Zingaretti ha creato smarrimento e incertezza, una reazione emotiva molto forte, ma al tempo stesso ha prodotto atti politici e documenti, arrivati da tante Federazioni e da tanti circoli, in cui viene chiesto un ripensamento a Nicola”, spiega l’esponente Pd vicino all’ex segretario chiedendo di “non annacquare” il gesto di Zingaretti “dentro un finto unanimismo che non ci serve proprio a nulla”.
Per Vaccari, “serve invece chiarezza rispetto al profilo del Pd, all’idea che vuole mettere in campo per il futuro del Paese, sulle alleanze che servono per battere la destra. I richiami all’unità in questa fase non ci servono”, conclude Vaccari. “Sarebbe un segretario di transizione e, quindi, debole”, taglia corto un dem a Palazzo Madama.
Un nome che potrebbe mettere tutti d’accordo sarebbe quello di Enrico Letta sul quale si sta fa più forte il pressing nelle ultime ore. Oggi direttore della Scuola di affari internazionali dell’Istituto di studi politici di Parigi, Letta è una personalità su cui starebbe insistendo la maggioranza dem, ma anche pezzi di minoranza e questo nonostante lo stesso Letta abbia recentemente dichiarato: “Con sorpresa ho letto il mio nome sui giornali come possibile nuovo segretario del Pd. Quel che penso è che l’Assemblea tutta debba chiedere a Nicola Zingaretti, al quale va la mia stima e amicizia, di riprendere la leadership. Peraltro io faccio un’altra vita e un altro mestiere”.
A scegliere il segretario, assicura un deputato dem, sarà comunque la maggioranza del partito. Maggioranza che, tuttavia, non è monolitica. Ci sono i componenti di Areadem, la corrente di Franceschini; quelli vicini ad Andrea Orlando; altri eletti con la mozione che faceva capo a Maurizio Martina, senza dimenticare i zingarettiani, naturalmente.
Il segretario tuttavia ha spiegato nelle ultime ore che il caso di un ripensamento non esiste e questa posizione viene confermata da fonti parlamentari a lui vicine.
Un invito a mettere da parte i dissidi viene proprio da Zingaretti: “Basta polemiche. C’è stato in questi mesi un gruppo dirigente vicino a me a cominciare da Orlando, Franceschini, D’Elia, Cuperlo, Zanda, Cuppi, Bettini, De Micheli, Oddati e Chiara Braga e tanti altri e tanti sindaci amministratori e dirigenti nei territori”, spiega il governatore del Lazio a margine dell’inaugurazione del treno sanitario alla stazione Termini. “Ho fiducia che ci sarà la forza e l’autorevolezza per fare chiarezza dove io non sono riuscito e rilanciare insieme un progetto per l’Italia”.