Pietro Ichino e Jobs Act

Non tutti nel Pd la pensano come Matteo Renzi sugli effetti del Jobs Act.  Non c’è occasione in cui il Presidente del Consiglio non si destreggi con i numeri dei nuovi occupati per esaltare i meriti della riforma del lavoro, spiegando che si è imboccata la strada giusta perché c’è  la ripresa e l’Italia sta meglio dei partner europei. Lui, ‘va avanti come un treno’ e neppure quando gli si fa notare che quel po’ di economia che comincia a muoversi è frutto di fattori esterni al governo e dipende dalle iniezioni di credito nell’Eurozona profuse da Draghi e dal calo del prezzo del petrolio. A mettere i puntini sulle ‘i’ ci pensa Pietro Ichino: ‘Sarebbe una sciocchezza legare l’aumento rilevante degli occupati dei primi 8 mesi dell’anno alla riforma del mercato del lavoro’, ammette il Giuslavorista ad un convegno sul Jobs Act. Il senatore ha spiegato che nei primi 8 mesi dell’anno gli occupati sono aumentati del 34,6%, secondo i dati Inps, a 1,16 milioni, contro gli 865.491 dell’analogo periodo del 2014. Dire che è merito di una riforma partita per 1/4 a marzo, per 1/4 a giugno e per 1/2 in settembre, secondo Ichino, corrisponde a dire una sciocchezza dal punto di vista scientifico. Gli effetti si vedranno solo se la riforma si consoliderà. Per il momento vale l’obiettivo della legge, che, a suo dire, è di portare il tasso di occupazione dell’Italia, oggi ad uno scandaloso 56%, al 66% della Gran Bretagna ed al 70/75% della Scandinavia. Questo può avvenire attraverso diverse leve, tra cui anche la disciplina del lavoro. In pratica si chiede avere una visione complessiva della riforma del lavoro, che si è completata di recente con l’approvazione di tutti i decreti legislativi di attuazione della delega, approfondendo le novità dal punto di vista tecnico con la flessibilità organizzativa e la disciplina delle mansioni come i controlli e i rapporti sindacali; il sostegno per il lavoratori nelle fasi di crisi dell’impresa; il contratto a tutele crescenti; le collaborazioni; il contratto a termine e part time. Il Jobs Act è legge dello stato che, insieme ad altre leggi fatte approvare da questo Governo, ha composto un mosaico che ha demolito i diritti dei lavoratori, il welfare e il sistema pensionistico. E’ curioso come le associazioni imprenditoriali abbiano manifestato giubilo per il famoso art. 18 che permette di derogare alle leggi e ai contratti , mentre ora davanti alla richiesta di un confronto finalizzato a dimostrare che il Jobs Act è uno strumento primitivo da padroni del vapore, le aziende gridino allo scandalo. Le imprese debbono riflettere quale tipo di relazioni sindacali vogliono intraprendere. Se improntarle alla logica dell’egemonia dell’impresa, dove il lavoratore diventa una risorsa al pari di una merce da sfruttare, oppure se vogliono relazioni sindacali che, anche con momenti di conflitto, siano improntate sulla cooperazione in funzione dello sviluppo dell’impresa e del benessere sociale, a partire da quello di chi lavora.

Cocis

 

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