Italia-Argentina, l’abbraccio di Papa Francesco

L’ha voluta fortemente, la sente un po’ sua, una partita che non gli è indifferente, non è come tutte le altre. Per Papa Francesco, Italia-Argentina è una partita speciale, nonostante sia un’amichevole, lui da un lato si sente rappresentato dagli azzurri perché è a Roma, centro della cattolicità, che risiede per il suo ministero petrino, dall’altro la Seleçion incarna le sue origini, lui che è nativo di Buenos Aires. Per questo ha convocato entrambe le federazioni nella Sala Clementina del Vaticano, tutti non hanno voluto perdersi un appuntamento così importante, e una transumanza di duecento persone ha varcato le mura leonine. Pregnante e incisivo il messaggio del Santo Padre che si è rivolto così ai giocatori: “Siete molto popolari, la gente vi segue molto, non solo in campo ma anche fuori, questa è una responsabilità sociale”, eh sì, perché i comportamenti dei giocatori hanno, inevitabilmente, un riverbero sociale. Ci sono tantissimi ragazzini pronti a scimmiottare i loro beniamini che nel week end vedono sul rettangolo di gioco, e non solo in campo si deve essere di buon esempio, ma anche fuori. Perché spesso diviene affascinante il modello di giocatore che, dopo le prodezze in campo, si presenta vestito in modo bizzarro davanti alle telecamere sciorinando un lessico dozzinale e poco consono ad una televisione denunciando, quindi, capacità comunicative più che deficitarie. Così, i ragazzini crescono nella convinzione che si è fighi in quel modo, e si bandisce la scuola perché non alimenta fantasie, non fornisce modelli accattivanti. Ed ecco che qui si innesta la responsabilità sociale di cui ha parlato il Papa, per responsabilità in questo caso si intende rispondere ad un modello sociale, non che rappresenti la perfezione, ma che sia educativo. Invece, se un giocatore è scorretto e irascibile in campo, per poi essere libertino e grossolano fuori, viene sdoganata una figura piena di macchie che vengono fatte passare per componenti indispensabili per farsi strada. “Uno sportivo, pur essendo professionista deve restare un dilettante. Gratuità, cameratismo e bellezza. Prima di essere campioni siete uomini, con pregi e difetti, cuore e idee, aspirazioni e problemi e allora anche se siete personaggi restate sempre uomini nello sport e nella vita, uomini portatori di umanità”, è un altro passaggio dell’udienza del Papa che parla di non perdere lo spirito dilettantistico anche per dei professionisti come lo sono dei giocatori delle Nazionali di calcio. Un modo affinché la competizione sia sana e non sconfini nella prevaricazione, un modo per prevalere senza sopraffare. Perché poi il segreto è questo, tutti vogliono vincere, ed è giusto che sia così, ma se la vittoria viene intesa come il fine per giustificare qualsiasi mezzo, lecito o non, allora verrebbe sbertucciato anche il concetto di professionalità. Comunque, molti giocatori si sono mostrati emozionati per essersi recati da un uomo semplice e carismatico, che sta portando avanti una missione tesa alla diffusione di pace e amore, la speranza è che parole come esempio e moralità possano tornare d’attualità. Ormai alligna l’etichetta secondo cui i calciatori siano tutto mercenari, abbacinati dalle luci del successo e della ribalta, solo i buoni esempi possono incrinare questo pensiero collettivo sorto per gli innumerevoli casi in cui la pecunia l’ha fatta da padrone.

Maurizio Longhi

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