La fotografia e le donne. 200 anni di scatti

I musei parigini d’Orsay e dell’Orangerie, due tra le massime strutture museali dell’intero globo, fanno una esposizione che dimostra lo straordinario contributo del cosiddetto sesso debole a una forma d’arte ‘moderna’ come la fotografia. Centinaia di scatti bizzarri, imprevedibili, divertenti, giocosi, angoscianti, crudeli, dolci o semplicemente curiosi sono presentati fino al 24 gennaio in due diversi spazi, una prima parte al museo dell’Orangerie, per il periodo compreso tra il 1839 e il 1919 e la seconda parte, dal 1918 al 1945, al Museo d’Orsay. L’idea è quella di rompere con la convinzione ancora molto attuale secondo la quale la fotografia, quale processo di riproduzione fisico­chimica, sia stata una semplice questione di tecnica e quindi ‘roba da uomini’. In verità, scopre la mostra, le donne si impongono nella storia di questo mezzo di espressione, sia quando usano la macchina fotografica per divertimento, come è successo spesso nell’Ottocento nelle classi sociali più alte, sia quando diventano delle vere e proprie professioniste, come è accaduto più tardi. La mostra non vuole comunque fare la storia di tutte coloro che si sono dedicate per vari motivi a questa ‘arte nuova’ , bensì evidenziare gli aspetti più importanti della produzione di alcune, in relazione al contesto storico e socioculturale in cui le loro opere nascevano. Il percorso inizia nel 1839, data ufficiale dell’invenzione del nuovo mezzo tecnico di espressione. E inizia con la produzione di Costance Talbot, moglie dell’inventore inglese della fotografia. Si continua con Anna Atkins e poi si passa a Frances Benjamin Johnston e Christina Broom, pioniere del fotogiornalismo italiano e inglese. In tutto sono 75 le donne fotografo riunite intorno ad immagini di artiste maggiori quali Margaret Cameron e Gertrude Kasebier. Non c’è dubbio che proprio la fotografia abbia costituito un terreno di emancipazione della condizione femminile. Non ci dimentichiamo che la pratica di questa attività non è mai stata regolata da nessuna legge o struttura che limitasse l’accesso alle donne, come invece succedeva nella pittura e nella scultura. Di conseguenza furono in molte ad essere incoraggiate ad abbracciare la nuova ‘arte industriale’, che così diventò per loro un’opportunità di indipendenza rispetto agli obblighi familiari. Più tardi, nella prima metà del XX secolo, vediamo le donne con le macchine fotografiche conquistare in massa territori fino ad allora maschili, quali i ritratti di nudi, anche erotici. Oppure le vediamo avventurarsi in zone di guerra, o in paesi esotici, così come nel mondo della politica. Tra i molti nomi troviamo Dora Maar, Helen Levitt, Tina Modotti e Gerda Taro. Il presidente dei musei d’Orsay e dell’Orangerie, Guy Cogeval, che ha fortemente voluto questa esposizione dichiara che essere artista per una donna di oggi è ancora difficile: ‘Le scultrici o le altre artiste non solo devono avere forza fisica e coraggio, ma anche ignorare lo sguardo degli altri. Le donne occupano un posto sempre più importante nella nostra società e io ne sono cosciente e felice. Questa nostra esposizione, che mostra come, nel XIX e nel XX secolo le donne si siano impadronite del mezzo fotografico nelle strategie di affermazione artistica e professionale, conquistando territori fino ad allora riservati agli uomini, non è che un’esposizione sulla storia della modernità che conduce lo sguardo fino ai nostri nostri giorni’.

Circa Roberto Cristiano

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