Referendum costituzionale e terremoto

E’ emersa nel dibattito politico la proposta di rinviare ‘sine die’ il referendum costituzionale perché non ha attinenza con le problematiche emerse con il terremoto, o con i terremoti degli ultimi due mesi.  È  la vecchia Italia al servizio dell’emergenza perché incapace di  di coniugare l’ordinaria amministrazione del vivere in comunità con l’amministrazione imposta dall’imprevisto e dall’imprevedibile.  Il terremoto, problematica gravissima con territori che ci stanno franando sotto i piedi. Il dibattito ha fatto emergere che, a loro dire, il  pensiero della politica sia lontano dai pensieri reali. Ma, in realtà, le due cose sono disgiunte e non è che rinviando il referendum si possano risolvere i problemi legati al terremoto. Lo sciame sismico di questi mesi ci racconta la storia antica di un paese che dal terremoto dell’Irpinia ad oggi ha saputo migliorare solo sul fronte dei soccorsi. Il terremoto ha raso al suolo  un bel pezzo di Italia facendo precipitare nel dramma,  e nell’incertezza,  del vivere quotidiano un crescente numero di persone. La gente  ha perduto  affetti, casa, lavoro e stabilità esistenziale.  Il tutto amplificato da certe apparizioni televisive di parlamentari che, a dire il vero, non hanno  di certo centrato la problematica. Percorrendo l’Italia troviamo ancora le testimonianze di antiche tragedie, dall’Aquila al Belice,  sino all’antichissimo terremoto di Messina. Siamo il paese a più alto rischio sismico d’Europa e  tutte le scosse che ci hanno afflitto ci hanno colto di sorpresa. Sono evidenti le responsabilità di tutti i governi,  e del suo adeguamento alle necessità che il terremoto pone dal punto di vista della sicurezza e della sopravvivenza delle persone. Questo è vero ma è scollegato dall’approvazione della riforma, come  è vero  che non è spostando la data del referendum che si potranno risolvere queste gravissime problematiche che sono legate ad altro.  La verità è dobbiamo  seriamente  lavorare sulla sicurezza del nostro territorio e delle case poco sicure che abbiamo fatto spuntare su di esso. Ma, ripeto, non c’è alcun nesso con il referendum costituzionale. Fino al 1980 solo il 25% del territorio era a rischio sismico, oggi siamo arrivati al 70%. Secondo le stime oggi poco più di un edificio su quattro non è costruito seguendo le normative antisismiche. Secondo i dati dell’Ufficio Studi della Camera dei deputati abbiamo speso 121 miliardi euro in 48 anni, circa 2.5 miliardi l’anno. A cui bisogna aggiungere ammortizzatori fiscali, sgravi sociali, esenzioni e welfare. Senza aggiungere quanto costerà la ricostruzione del sisma che ha colpito e sta colpendo il Centro Italia. Il vero paradosso all’italiana è che con 2,5 miliardi l’anno per quindici anni si potrebbe ridurre al minimo il rischio sismico. Nella legge di stabilità 2015 sono stati tagliati 4,5 miliardi per abolire la tassa sulla casa, senza pensare che con 2,5 miliardi si potevano attuare politiche di messa a norma degli edifici. Una casa costruita con norme antisismiche costa solo il 10% in più di una casa dove se dovesse arrivare un terremoto molto probabilmente non se ne uscirebbe vivi. L’istituto nazionale di geofisica e vulcanologia ha condotto nel 2015 in collaborazione con il Cnr e l’istituto nazionale di oceanografia e di geofisica di Trieste un’indagine sulla percezione della pericolosità sismica. Su un campione di 41,3% di cittadini residenti in zone sismiche con elevata pericolosità, solo il 6% è risultato avere una percezione adeguata del pericolo. Solo in Italia non esiste ancora un sistema pubblico e privato per la gestione del rischio catastrofale, specialmente per le abitazioni.  Siamo un Paese a rischio, dove le macchine dei soccorsi si attivano ad una velocità che ci fa onore. Nessuno in Italia fa i conti con il fatto che i terremoti arrivano, più o meno puntuali. Appartengono per noi ancora alla categoria dell’imprevedibile, mentre con alcuni accorgimenti potrebbero diventare, nei danni, prevedibili e scongiurati.

Roberto Cristiano

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