Rai: il muro del pianto dell’Usigrai, e suoi collegati, disperati perchè la tv pubblica non è più un monocolore Pd…

In una giornata segnata dallo sciopero dei giornalisti Rai, indetto dal sindacato Usigrai, i telegiornali Tg1 e Tg2 – così come quelli Rainews – sono andati in onda regolarmente.

Nonostante l’annuncio dello sciopero, che aveva come obiettivo la protesta contro l’influenza del governo nell’informazione e le mancate risposte dell’azienda alle vertenze sindacali, i servizi sono stati trasmessi con collegamenti in diretta e approfondimenti.

Il Tg1 è stato condotto da Sonia Sarno mentre il Tg2 da Stefania Zane. Da quanto si apprende nessun Tgr è andato in onda. Durante le trasmissioni, sono state lette le ragioni dello sciopero, fornendo così agli spettatori una panoramica delle motivazioni alla base della protesta.

Giovanni Minoli, decano della televisione italiana e giornalista Rai di lungo corso, non si capacita dell’autogol sindacale dell’Usigrai che ieri ha spaccato le redazioni portando a casa, però, poco o nulla sul tema del regime e di Tele-Meloni.  Per Minoli, quelllo che accade in Rai con il centrodestra, “mi sembra normale dialettica, quell’Usigrai, che era abituata a dominare, adesso non lo fa più. Come ci sono la Cgil, la Cisl e la Uil, è forse un bene che ci sia un pluralismo sindacale anche in Rai. Se vogliamo sostenere qualcosa di incredibile, diciamo che cade un muro”, afferma in una intervista al Tempo.

TeleMeloni.? “Mi sono già pronunciato molteplici volte sul tema. È sempre tele di chi comanda. Lo è da quando è nata la Rai. Una volta è TeleDc, un’altra è TeleSinistra. Oggi è TeleMeloni. È la legge a lottizzare la Rai. Altro discorso è chiedersi quale è il livello della professionalità dei nominati. Oggi come ieri. Non ho l’impressione che si tenga molto conto dei curricula. Si chiedono, ma sappiamo tutti che le scelte sono figlie di una trattativa politica. È normale, dunque, che prevale l’interesse dei partiti rispetto alla qualità delle candidature. Da sempre è così”.  Sul caso Scurati, Minoli parla di comiche. “Tanto rumore per un programma che fa il tre per cento. Se fosse dipeso da me, l’avrei mandato come sigla, come intermezzo e sigla di coda. Mi è sembrata una questione di lana caprina. Ognuno, poi, ci gioca sopra come vuole e soprattutto il protagonista ne trae un vantaggio, sia in termini di pubblicità che forse di vendita dei libri. Perfino Augias ha affermato che nella televisione democristiana una cosa del genere non sarebbe mai capitata”.

«Non siamo la priorità». Tra i precari della Rai monta la protesta nei confronti dell’Usigrai che ha indetto uno sciopero per garantire «i già garantiti». Gli indignati sono i circa 350 giornalisti che lavorano con contratti da «programmisti» o come collaboratori con partita Iva e che si ritrovano quotidianamente a discutere della loro situazione lavorativa nella chat «Fase 2 Giusto contratto».

La prima fase è quella che, nel 2020, in piena pandemia, ha visto la stabilizzazione dei primi 150 precari, mentre la fase è quella che doveva vedere l’assunzione dei restanti 235 ancora in attesa di un contratto. Tra loro, in questi giorni, si è molto discusso se partecipare o meno alla mobilitazione ed è addirittura partito un sondaggio all’interno della chat. Di questi 350 solo una cinquantina hanno esplicitamente votato «sì, scendiamo in piazza», mentre dagli altri sono partite perlopiù feroci critiche. Uno di coloro che ha votato contro la mobilitazione ha spiegato di condividere i valori della protesta, ma di non volersi spendere «per chi non mi considera che un numero, e qui mi riallaccio all’Usigrai che considera i giornalisti dell’approfondimento poco e noi non contrattualizzati come giornalisti ancora meno». Alcuni dei programmi più importanti, infatti, vanno in onda grazie al lavoro dei precari eppure l’Usigrai, nel comunicato che ha diramato li ha a mala pena citati.

«Non so se ci siamo resi conto che stiamo scomparendo», scrive una collaboratrice. E ancora: «Mai sentiti quelli di Usigrai, solo i colleghi del cdr Approfondimento». «Non so se avete capito che non siamo la priorità di questa protesta», ribadisce un altro indignato. Se lo sciopero di ieri è stato un flop, insomma, è soprattutto merito dei precari che si sono sentiti dimenticati dall’Usigrai, il principale sindacato Rai e che ora guardano con interesse all’Unirai. Ieri, infatti, sono andati regolarmente in onda tutti i programmi di Approfondimento e Day Time, da Unomattina ad Agorà così come varie edizioni dei telegiornali nazionali e locali. «Io non sciopero perché non ho un contratto giornalistico quindi non è uno sciopero della mia categoria e poi perché Usigrai non ha mai dimostrato alcun reale interesse a risolvere la situazione di noi aspiranti fase 2 del giusto contratto», spiega un giornalista che figura ancora come «programmista». «Non vado a fare uno sciopero per una maggior retribuzione dei miei capi, dovrebbero loro scioperare prima per noi che siamo esclusi. Sono miserevoli e non mi avranno mai», dice un suo collega che imputa al centrosinistra la responsabilità della situazione attuale: «Sono loro i geni del male che hanno fatto la riforma dei generi». Ma non solo. Non è piaciuta nemmeno la politicizzazione dello sciopero. «Sulla questione antifascismo la penso come Guia Soncini», ci dicono. «Non ce la posso fare con una sinistra per cui le questioni di soldi sono «offensive», ma questo è un problema mio», ha scritto lo scorso 22 aprile la scrittrice che collabora per Linkiesta secondo «il problema di logica» è un altro. «Prerequisito per l’antifascismo è dunque lodare la generosità di Scurati per non essersi fatto pagare dalla Rai un testo che nel frattempo aveva lasciato pubblicare gratuitamente ai cani, ai porci, alle Vongola Partigiana75?», si chiese la Soncini sottolineando come, nonostante le polemiche la puntata della Bortone si sia fermata al 5%. In sintesi, i precari non sono più disposti ad abbracciare cause tipiche dell’antifascismo militante portate avanti da un sindacato che non li difende.

‘In Rai il sindacato Usigrai ha convocato uno sciopero gridando all’instaurazione di una grave censura di governo, e strillando contro le decisioni di accorpare alcune redazioni. Inoltre protesta contro il sindacato Unirai, contrario allo sciopero. Sono tutte questioni distinte, che dimostrano insieme un’assai significativa malafede. Posso senz’altro affermare che per molti anni in Rai è andata in onda una sorta di autocensura automatica, nel senso che tutto veniva filtrato attraverso le lenti di chi stava in sintonia con i potenti del momento, per lungo tempo dello stesso colore. Ma il sindacato Usigrai si è sempre ben guardato dal protestare. Evidentemente si considerava normale non solo non disturbare, ma anche appoggiare sempre e comunque il manovratore. L’Usigrai nei suoi comunicati rivendica il diritto di sciopero, dimenticando che rimane un diritto anche quello di non scioperare rivendicato dal sindacato Unirai, che invece viene accusato per questo di essere “colluso” con il Governo’, è il commento di Alberto Contri, che continua: ‘Assai più problematica la questione dell’accorpamento di alcune redazioni, in nome di una ottimizzazione delle prassi di lavoro che in altri network pubblici e privati sono in vigore da molti anni. Su questo posso fornire due testimonianze personali, che risalgono al periodo in cui ero membro del Cda della Rai. Nel 2002 feci una visita alla BBC, dove scoprii che ogni giornalista nel suo turno di lavoro faceva un pezzo per la tv, un pezzo per la radio e un pezzo per internet. Da amministratore delegato di Rainet nel 2004 tornai da una visita a France Telévision Interactive con le specifiche di un registratore digitale portatile con il quale i giornalisti radio e internet registravano i servizi e poi se li montavano da soli sul proprio pc. Proposto da noi, il sindacato dei montatori e dei giornalisti si oppose: i primi perché temevano di perdere il lavoro, i secondi per timore di dover fare anche i montatori. Curioso che poi nei comunicati ufficiali si lamentassero che l’azienda non investisse nell’innovazione. Può bastare? Non invidio il difficile ruolo dell’attuale Dg Giampaolo Rossi, Ad in pectore, intento a perseguire un minimo di riequilibrio nell’informazione e una doverosa riorganizzazione produttiva, in un momento in cui una frammentata opposizione, non avendo altri argomenti, si sta scatenando in una vera e propria battaglia di retroguardia che in realtà nasconde l’ira per la perdita di un consolidato strapotere. ”Le mani sulle news. Dalla Rai ai giornali, la strategia della destra che punta al pensiero unico”. Così ha titolato Repubblica il 4 maggio 2024. Chiunque guardi alla storia dei mass media in Italia, Rai inclusa, e lo faccia senza lenti colorate (di rosso), non può che provare un forte senso di straniamento di fronte ad un simile titolo. Perché per anni e anni – repetita iuvant – dirigenti, intellettuali, giornalisti, hanno occupato tutti i posti possibili, inclusi gli strapuntini. In altro articolo avevo spiegato come gli appalti di cinema e fiction della Rai abbiano sempre favorito le società vicine all’Ulivo, ai Ds e poi al Pd,  consentendo anche alla formazione professionale di uno stuolo di operatori’

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