‘Ndrangheta. Sequestrate quote societarie per 320mln di euro a imprenditori

‘Colpo di coda’, è stata così denominata l’operazione  contro l’ndrangheta condotta dai carabinieri piemontesi e calabresi. In Piemonte si è concentrata nella provincia di Torino, con particolare riguardo alla zona di Chivasso  e in quella di Vercelli. Sequestrate le quote societarie del ‘ Grand Hotel de la Ville’, uno dei più noti alberghi della Calabria e il ‘Plaza’, entrambi a Villa San Giovanni per un valore di 230 milioni di euro. I beni, secondo l’accusa, sono riconducibili ai noti imprenditori reggini Pasquale Rappoccio, 56enne rappresentante dell’impresa ‘Medinex’ per la fornitura di medicinali e Pietro Siclari, 65 anni, entrambi già detenuti dopo essere stati arrestati nell’ottobre dello scorso anno nell’operazione Reggio Nord condotta dai carabinieri con l’accusa di avere riciclato soldi e fatto da prestanome alle cosche Tegano, Condello e Libri.  I due imprenditori sono sospettati di essersi occupati delle attività economiche in realtà riconducibili a Domenico Condello e a Bruno Tegano, delle omonime famiglie mafiose. I In particolare, secondo la Dda, i due avrebbero acquistato l’attività commerciale Il Limoneto, a Catona di Reggio Calabria, comprendente un albergo ed una discoteca, che sarebbe stata controllata in realtà, in modo occulto dal boss Domenico Condello, arrestato il 10 ottobre scorso dopo 21 anni di latitanza e dal cognato Bruno Tegano.  Siclari, all’epoca, era già detenuto perché coinvolto in un’altra operazione portata a termine dalla Dia nel novembre del 2010 sui rapporti tra cosche ed imprenditoria.  “Quello eseguito stamani è un provvedimento importante perché colpisce il patrimonio illecitamente accumulato da due imprenditori che hanno operato per lungo tempo in relazione trasversale con diverse potenti famiglie della’ndrangheta reggina e sotto la loro protezione”. Ha sostenuto il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Michele Prestipino, commentando l’operazione condotta da guardia di finanza, Dia e carabinieri che ha portato al sequestro di beni per 230 milioni di euro. “Questo provvedimento – ha aggiunto il magistrato – dimostra che qualsiasi forma di contiguità penalmente rilevante con la’ndrangheta può essere individuata, possono essere accertate le relative responsabilità e possono essere sequestrati i beni la cui accumulazione da tale contiguità deriva. Dimostra ancora che la scelta della collusione e del facile arricchimento illecito alla fine non conviene”.

 

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