Il leader di Italia Viva, Matteo Renzi, al teatro Augusteo di Napoli dove ha presentato il suo libro 'Controcorrente', 12 luglio 2021. ANSA / CIRO FUSCO

Leader di partito in sfida per le elezioni europee: chi fugge e chi si candida

Tra chi fugge e chi ci sta, è cominciata la sfida dei leader in vista delle elezioni europee. Ed ecco che, pian piano, si sta componendo il quadro dei big dei partiti che non si tireranno indietro da una corsa, che sarà anche un test nazionale, a quasi due anni di distanza dalle elezioni politiche. Un voto che ha visto il trionfo di Giorgia Meloni e dei suoi Fratelli d’Italia. A proposito: a quanto pare la premier dovrebbe essere della partita. Lo ha fatto intendere chiaramente durante la conferenza stampa del 4 gennaio scorso. Quando ha spiegato: “Sul tema della candidatura alle europee è una decisione che non ho ancora preso. Sono persona per la quale niente conta di più che sapere di avere il consenso dei cittadini. Per cui tutte le volte che io ho avuto l’occasione di misurarmi col consenso dei cittadini l’ho fatto e anche ora che sono Presidente del Consiglio secondo me misurarsi con il consenso dei cittadini sarebbe a maggior ragione una cosa utile e interessante”.

Di fatto un passo in avanti. Una sfida lanciata anche agli altri leader. A partire da Giuseppe Conte ed Elly Schlein. Ma anche un messaggio in bottiglia spedito agli alleati: Matteo Salvini e Antonio Tajani. Intanto possiamo dire che l’unico capo di partito che correrà sicuramente è Matteo Renzi, fondatore di Italia Viva. “Giorgia Meloni ha fatto capire che avrebbe tanta voglia di candidarsi alle elezioni europee. Lo vuole fare non per cambiare l’Europa ma per fare un test nazionale su di sé e sul suo partito”, scrive il senatore ed ex premier nella sua Enews. Poi Renzi ribadisce la sua scelta di volersi misurare con la competizione per un seggio all’Europarlamento: “Come sapete, io sarò della partita, come ho annunciato a Milano il 9 ottobre scorso. Lo ribadisco oggi che mancano cinque mesi alle elezioni. Chi crede in un’Europa diversa da quella sovranista della destra radicale e quella populista del tandem Schlein/Conte ci dia una mano. Ma sono molto fiducioso perché voterà per noi anche chi vuole un’Italia in cui si cambi questo Governo e cambi anche questa opposizione inconcludente. Ci siamo, sarà una sfida bellissima

L’annuncio del forfait dei leader di Lega e Forza Italia è arrivato quasi in contemporanea. Con il medesimo obiettivo, ovvero quello di spingere anche Meloni al passo indietro. Così da non rendere plastica la differenza abissale di consenso tra i tre moschettieri del centrodestra. Un divario che comunque è già fin troppo evidente. Ma la verità è che Tajani e Salvini stanno facendo di tutto per preservare la loro leadership per il maggior tempo possibile. E mettere la faccia su un flop più che probabile potrebbe innescare un effetto domino dagli effetti tutt’altro che prevedibili. Meglio fare un passo indietro, nella speranza che Meloni rinunci a stravincere, senza sfruttare l’effetto traino su FdI di una sua candidatura diretta. Tajani, in un’intervista a La Stampa, è stato più diplomatico, ma di fatto ha espresso il suono  alla candidatura: “È un errore candidare i leader in Europa. O tutti i leader o nessuno, ma credo ci sia il rischio che si perdano di vista le priorità del governo”. In effetti, nella testa di Tajani, la corsa alle europee sarebbe una mossa da kamikaze. Forza Italia ribolle e in tanti invocano la leadership di Letizia Moratti. Il partito è in crisi di identità e non si schioda dal 7%. Con queste premesse, se il ministro degli Esteri mettesse la faccia su una sconfitta simile, la sua leadership verrebbe messa decisamente in discussione il giorno successivo al voto. Infatti il vicepremier forzista, per motivare il suo no, ha parlato anche dell’imminente congresso di Forza Italia. “Tajani parla del congresso perché non sa nemmeno cosa accadrà al partito e a se stesso dopo le europee”, dice una fonte di maggioranza.

A leader di Forza Italia fa subito eco Salvini. “Non mi candido alle europee, continuerò a fare il ministro”, l’annuncio a Quarta Repubblica, su Rete4. Poi l’endorsement: “Vorrei Vannacci”. Una figurina, una mossa della disperazione per cercare di contenere i meloniani, ma senza metterci la faccia in prima persona. Anche perché, con il partito sotto al 10%, i governatori del Nord scalpitano e Luca Zaia è pronto a lanciare la sua proposta alternativa al salvinismo. Meglio non peggiorare le cose. E poi ci sono i due litiganti del campo largo, Schlein e Conte. Lei ci sta pensando. I suoi la vorrebbero in prima linea, il resto del partito tentenna. Chi la vorrebbe in campo è convinto che un pieno di preferenze possa allontanare le sirene di una “riflessione interna” sulla sua leadership, anche con un risultato sotto al 20%. La segretaria, però, teme trappole e ha paura che si tratti di consigli trabocchetto, volti ad affossarla più che a blindarla. Molto dipenderà anche da ciò che deciderà di fare Meloni. Con la premier candidata, Schlein vede lo spettro di una sfida in cui l’inquilina di Palazzo Chigi potrebbe doppiarla, mettendo fine automaticamente alla sua segreteria. Un duello Meloni-Schlein, con la segretaria che prende molti meno voti della presidente del Consiglio, con un Pd sotto al 20%, sarebbe la tempesta perfetta in grado di innescare un cambio della guardia al Nazareno. Poi c’è Conte. L’avvocato di Volturara Appula ha già messo in chiaro che non si candiderà per “non prendere in giro gli elettori”, perché lui non vuole fare il parlamentare europeo. In realtà il leader del M5s preferisce aspettare che Schlein si schianti da sola, senza correre il rischio di sfidarla in un derby che potrebbe vederlo perdente.

«Ma scusate, perché Andreotti sì e io no?». Se si è messa a spulciare i precedenti, vuol dire che Meloni è pronta a candidarsi alle Europee. Il lavoro di ricerca è il segno che la premier attende solo di ufficializzare la decisione, svelata dai riferimenti storici di cui si potrà servire per smontare la tesi che sta «truffando gli italiani», chiedendo un voto per Strasburgo mentre sta seduta a Palazzo Chigi: «Come se i cittadini non sapessero cosa faccio». E per non limitarsi ai trascorsi della Seconda Repubblica, ha preso ad esempio i casi più famosi della Prima. Uno su tutti: nel giugno del 1989 Andreotti era ministro degli Esteri quando per la Dc si presentò da capolista nel Nord-Est. Ottenne 530 mila 858 preferenze e fu eletto. Ma invece di lasciare l’Italia ci restò, e un mese dopo divenne  presidente del Consiglio.

La Meloni potrebbe presentarsi all’Europarlamento con una delle maggiori delegazioni dell’Ue e con una messe di suffragi personali che sarebbero funzionali al momento delle scelte di potere a Bruxelles, smentendo così la tesi «provinciale» dell’isolamento. Eppoi potrebbe sfruttare l’operazione anche per consolidare il risultato nazionale del 2022, ridisegnando la geografia del centrodestra secondo i nuovi rapporti di forza. Per farlo, Meloni avrebbe due strade: la via politica e quella elettorale. «Ma lei il Pdl non lo farà mai da un predellino», spiega un ministro di FdI: «Piuttosto lo farà nelle urne».

Questo disegno ha le sue percentuali di rischio, certo, però appare un passaggio necessitato e conseguenziale all’idea della premier di «restituire centralità alla politica». Le controindicazioni alla sua candidatura vengono valutate nei colloqui riservati, a partire dalle possibili reazioni nella maggioranza e nel governo. Perché una «Giorgia pigliatutto», terremotando gli attuali equilibri di centrodestra, potrebbe innescare ripicche in Consiglio dei ministri e agguati in Parlamento. A parte il fatto che i bradisismi nell’alleanza sono all’ordine del giorno, se le scosse dovessero superare in futuro la soglia fisiologica, tutti sanno che in questa legislatura non ci sarebbe spazio per governi alternativi. E allora chi nella coalizione si assumerebbe la responsabilità del «tutti a casa?». È un’ipotesi di cui c’è traccia nelle discussioni interne a FdI ma che viene indicata come «non realistica».

Semmai il timing che ha in mente Meloni vuole essere rispettoso delle scelte dei leader alleati. Per questo aveva prospettato di parlarne prima con loro, immaginando persino l’annuncio comune delle loro candidature. La mossa di Salvini, che si è chiamato fuori dalla competizione, non cambia il suo schema: «Farà sapere la sua decisione solo dopo averne discusso con gli altri leader», racconta una fonte molto autorevole. Anche se nel centrodestra tutti — compresi i dirigenti di Forza Italia — hanno commentato le dichiarazioni del segretario della Lega con le stesse parole di un rappresentante del governo: «È un atto di chiara debolezza».

Ospite della trasmissione ‘Avanti popolo’, Matteo Renzi, leader di Italia Viva, ha commentato ultime vicende di stretta attualità politica. Il toscano è parso piuttosto convinto di come si comporterà Giorgia Meloni in vista delle Europee. Ma non solo. Il politico ha detto la sua anche su Salvini, Tajani e il recente caso Pozzolo, il deputato di Fdi che ha fatto partire un colpo di pistola durante la festa di Capodanno, ferendo un uomo.

Matteo Renzi, come detto, è stato ospite della puntata del 9 gennaio di ‘Avanti Popolo’, su Rai3 condotto da Nunzia De Girolamo. Tra i vari punti discussi anche le future strategie di Giorgia Meloni: “Meloni si candiderà alle Europee, ma chi se ne frega. Il punto è che la gente non arriva a fine mese. Allora secondo me il punto centrale è quanto la classe politica discuta della candidatura di Meloni e quanto invece a casa si parli di salari, tasse. Io mi candido alle europee perché vorrei che l’Italia dicesse qualcosa in Europa”, ha spiegato il leader di Italia Viva.

Poi, ancora sulla Premier: “Meloni dice ‘Voglio vedere se i cittadini mi danno fiducia’. Ma non è mica un test, un sondaggio. Matteo Salvini non si candida? Per forza, se la fa addosso. Salvini e Antonio Tajani temono di essere cannibalizzati. E Salvini che fa? Si prende il generale Vannacci, un po’ di gente e manda avanti loro. Tajani poi ha paura anche della sua ombra”.

Facendo un parallelo tra lui e la Meloni, poi, Renzi ha aggiunto: “Io sono molto meno simpatico di Meloni. Ma il tema sono i risultati: un politico non lo giudichi dalle battute. Meloni i risultati non li sta portando. È simpatica, viene bene in foto, fa le battute ma risultati zero. Meloni dice ‘non farò la fine di Renzi’. Per ora non ha fatto nemmeno l’inizio, perché ancora la riforma del premierato non c’è. E comunque se perde il referendum, Meloni va a casa. Puoi dire quello che vuoi ma se perdi, vai a casa”.

Renzi ha poi dato un duro commento sulla vicenda Pozzolo, il deputato di Fratelli d’Italia protagonista dello sparo di Capodanno e che è stato sospeso dal partito nelle ultime ore: “Come si fa a portare le pistole a Capodanno a una festa dove ci sono bambini? C’era Andrea Delmastro, sottosegretario alla Giustizia che dovrebbe garantire la legalità. C’erano dei bambini in sala. E portano le pistole. Come minimo è da irresponsabili […]”.

 

Tra chi fugge e chi ci sta, è cominciata la sfida dei leader in vista delle elezioni europee. Ed ecco che, pian piano, si sta componendo il quadro dei big dei partiti che non si tireranno indietro da una corsa, che sarà anche un test nazionale, a quasi due anni di distanza dalle elezioni politiche. Un voto che ha visto il trionfo di Giorgia Meloni e dei suoi Fratelli d’Italia. A proposito: a quanto pare la premier dovrebbe essere della partita. Lo ha fatto intendere chiaramente durante la conferenza stampa del 4 gennaio scorso. Quando ha spiegato: “Sul tema della candidatura alle europee è una decisione che non ho ancora preso. Sono persona per la quale niente conta di più che sapere di avere il consenso dei cittadini. Per cui tutte le volte che io ho avuto l’occasione di misurarmi col consenso dei cittadini l’ho fatto e anche ora che sono Presidente del Consiglio secondo me misurarsi con il consenso dei cittadini sarebbe a maggior ragione una cosa utile e interessante”.

 

Di fatto un passo in avanti. Una sfida lanciata anche agli altri leader. A partire da Giuseppe Conte ed Elly Schlein. Ma anche un messaggio in bottiglia spedito agli alleati: Matteo Salvini e Antonio Tajani. Intanto possiamo dire che l’unico capo di partito che correrà sicuramente è Matteo Renzi, fondatore di Italia Viva. “Giorgia Meloni ha fatto capire che avrebbe tanta voglia di candidarsi alle elezioni europee. Lo vuole fare non per cambiare l’Europa ma per fare un test nazionale su di sé e sul suo partito”, scrive il senatore ed ex premier nella sua Enews. Poi Renzi ribadisce la sua scelta di volersi misurare con la competizione per un seggio all’Europarlamento: “Come sapete, io sarò della partita, come ho annunciato a Milano il 9 ottobre scorso. Lo ribadisco oggi che mancano cinque mesi alle elezioni. Chi crede in un’Europa diversa da quella sovranista della destra radicale e quella populista del tandem Schlein/Conte ci dia una mano. Ma sono molto fiducioso perché voterà per noi anche chi vuole un’Italia in cui si cambi questo Governo e cambi anche questa opposizione inconcludente. Ci siamo, sarà una sfida bellissima

L’annuncio del forfait dei leader di Lega e Forza Italia è arrivato quasi in contemporanea. Con il medesimo obiettivo, ovvero quello di spingere anche Meloni al passo indietro. Così da non rendere plastica la differenza abissale di consenso tra i tre moschettieri del centrodestra. Un divario che comunque è già fin troppo evidente. Ma la verità è che Tajani e Salvini stanno facendo di tutto per preservare la loro leadership per il maggior tempo possibile. E mettere la faccia su un flop più che probabile potrebbe innescare un effetto domino dagli effetti tutt’altro che prevedibili. Meglio fare un passo indietro, nella speranza che Meloni rinunci a stravincere, senza sfruttare l’effetto traino su FdI di una sua candidatura diretta. Tajani, in un’intervista a La Stampa, è stato più diplomatico, ma di fatto ha espresso il suono  alla candidatura: “È un errore candidare i leader in Europa. O tutti i leader o nessuno, ma credo ci sia il rischio che si perdano di vista le priorità del governo”. In effetti, nella testa di Tajani, la corsa alle europee sarebbe una mossa da kamikaze. Forza Italia ribolle e in tanti invocano la leadership di Letizia Moratti. Il partito è in crisi di identità e non si schioda dal 7%. Con queste premesse, se il ministro degli Esteri mettesse la faccia su una sconfitta simile, la sua leadership verrebbe messa decisamente in discussione il giorno successivo al voto. Infatti il vicepremier forzista, per motivare il suo no, ha parlato anche dell’imminente congresso di Forza Italia. “Tajani parla del congresso perché non sa nemmeno cosa accadrà al partito e a se stesso dopo le europee”, dice una fonte di maggioranza.

A leader di Forza Italia fa subito eco Salvini. “Non mi candido alle europee, continuerò a fare il ministro”, l’annuncio a Quarta Repubblica, su Rete4. Poi l’endorsement: “Vorrei Vannacci”. Una figurina, una mossa della disperazione per cercare di contenere i meloniani, ma senza metterci la faccia in prima persona. Anche perché, con il partito sotto al 10%, i governatori del Nord scalpitano e Luca Zaia è pronto a lanciare la sua proposta alternativa al salvinismo. Meglio non peggiorare le cose. E poi ci sono i due litiganti del campo largo, Schlein e Conte. Lei ci sta pensando. I suoi la vorrebbero in prima linea, il resto del partito tentenna. Chi la vorrebbe in campo è convinto che un pieno di preferenze possa allontanare le sirene di una “riflessione interna” sulla sua leadership, anche con un risultato sotto al 20%. La segretaria, però, teme trappole e ha paura che si tratti di consigli trabocchetto, volti ad affossarla più che a blindarla. Molto dipenderà anche da ciò che deciderà di fare Meloni. Con la premier candidata, Schlein vede lo spettro di una sfida in cui l’inquilina di Palazzo Chigi potrebbe doppiarla, mettendo fine automaticamente alla sua segreteria. Un duello Meloni-Schlein, con la segretaria che prende molti meno voti della presidente del Consiglio, con un Pd sotto al 20%, sarebbe la tempesta perfetta in grado di innescare un cambio della guardia al Nazareno. Poi c’è Conte. L’avvocato di Volturara Appula ha già messo in chiaro che non si candiderà per “non prendere in giro gli elettori”, perché lui non vuole fare il parlamentare europeo. In realtà il leader del M5s preferisce aspettare che Schlein si schianti da sola, senza correre il rischio di sfidarla in un derby che potrebbe vederlo perdente.

«Ma scusate, perché Andreotti sì e io no?». Se si è messa a spulciare i precedenti, vuol dire che Meloni è pronta a candidarsi alle Europee. Il lavoro di ricerca è il segno che la premier attende solo di ufficializzare la decisione, svelata dai riferimenti storici di cui si potrà servire per smontare la tesi che sta «truffando gli italiani», chiedendo un voto per Strasburgo mentre sta seduta a Palazzo Chigi: «Come se i cittadini non sapessero cosa faccio». E per non limitarsi ai trascorsi della Seconda Repubblica, ha preso ad esempio i casi più famosi della Prima. Uno su tutti: nel giugno del 1989 Andreotti era ministro degli Esteri quando per la Dc si presentò da capolista nel Nord-Est. Ottenne 530 mila 858 preferenze e fu eletto. Ma invece di lasciare l’Italia ci restò, e un mese dopo divenne  presidente del Consiglio.

La Meloni potrebbe presentarsi all’Europarlamento con una delle maggiori delegazioni dell’Ue e con una messe di suffragi personali che sarebbero funzionali al momento delle scelte di potere a Bruxelles, smentendo così la tesi «provinciale» dell’isolamento. Eppoi potrebbe sfruttare l’operazione anche per consolidare il risultato nazionale del 2022, ridisegnando la geografia del centrodestra secondo i nuovi rapporti di forza. Per farlo, Meloni avrebbe due strade: la via politica e quella elettorale. «Ma lei il Pdl non lo farà mai da un predellino», spiega un ministro di FdI: «Piuttosto lo farà nelle urne».

Questo disegno ha le sue percentuali di rischio, certo, però appare un passaggio necessitato e conseguenziale all’idea della premier di «restituire centralità alla politica». Le controindicazioni alla sua candidatura vengono valutate nei colloqui riservati, a partire dalle possibili reazioni nella maggioranza e nel governo. Perché una «Giorgia pigliatutto», terremotando gli attuali equilibri di centrodestra, potrebbe innescare ripicche in Consiglio dei ministri e agguati in Parlamento. A parte il fatto che i bradisismi nell’alleanza sono all’ordine del giorno, se le scosse dovessero superare in futuro la soglia fisiologica, tutti sanno che in questa legislatura non ci sarebbe spazio per governi alternativi. E allora chi nella coalizione si assumerebbe la responsabilità del «tutti a casa?». È un’ipotesi di cui c’è traccia nelle discussioni interne a FdI ma che viene indicata come «non realistica».

Semmai il timing che ha in mente Meloni vuole essere rispettoso delle scelte dei leader alleati. Per questo aveva prospettato di parlarne prima con loro, immaginando persino l’annuncio comune delle loro candidature. La mossa di Salvini, che si è chiamato fuori dalla competizione, non cambia il suo schema: «Farà sapere la sua decisione solo dopo averne discusso con gli altri leader», racconta una fonte molto autorevole. Anche se nel centrodestra tutti — compresi i dirigenti di Forza Italia — hanno commentato le dichiarazioni del segretario della Lega con le stesse parole di un rappresentante del governo: «È un atto di chiara debolezza».

Ospite della trasmissione ‘Avanti popolo’, Matteo Renzi, leader di Italia Viva, ha commentato ultime vicende di stretta attualità politica. Il toscano è parso piuttosto convinto di come si comporterà Giorgia Meloni in vista delle Europee. Ma non solo. Il politico ha detto la sua anche su Salvini, Tajani e il recente caso Pozzolo, il deputato di Fdi che ha fatto partire un colpo di pistola durante la festa di Capodanno, ferendo un uomo.

Matteo Renzi, come detto, è stato ospite della puntata del 9 gennaio di ‘Avanti Popolo’, su Rai3 condotto da Nunzia De Girolamo. Tra i vari punti discussi anche le future strategie di Giorgia Meloni: “Meloni si candiderà alle Europee, ma chi se ne frega. Il punto è che la gente non arriva a fine mese. Allora secondo me il punto centrale è quanto la classe politica discuta della candidatura di Meloni e quanto invece a casa si parli di salari, tasse. Io mi candido alle europee perché vorrei che l’Italia dicesse qualcosa in Europa”, ha spiegato il leader di Italia Viva.

Poi, ancora sulla Premier: “Meloni dice ‘Voglio vedere se i cittadini mi danno fiducia’. Ma non è mica un test, un sondaggio. Matteo Salvini non si candida? Per forza, se la fa addosso. Salvini e Antonio Tajani temono di essere cannibalizzati. E Salvini che fa? Si prende il generale Vannacci, un po’ di gente e manda avanti loro. Tajani poi ha paura anche della sua ombra”.

Facendo un parallelo tra lui e la Meloni, poi, Renzi ha aggiunto: “Io sono molto meno simpatico di Meloni. Ma il tema sono i risultati: un politico non lo giudichi dalle battute. Meloni i risultati non li sta portando. È simpatica, viene bene in foto, fa le battute ma risultati zero. Meloni dice ‘non farò la fine di Renzi’. Per ora non ha fatto nemmeno l’inizio, perché ancora la riforma del premierato non c’è. E comunque se perde il referendum, Meloni va a casa. Puoi dire quello che vuoi ma se perdi, vai a casa”.

Renzi ha poi dato un duro commento sulla vicenda Pozzolo, il deputato di Fratelli d’Italia protagonista dello sparo di Capodanno e che è stato sospeso dal partito nelle ultime ore: “Come si fa a portare le pistole a Capodanno a una festa dove ci sono bambini? C’era Andrea Delmastro, sottosegretario alla Giustizia che dovrebbe garantire la legalità. C’erano dei bambini in sala. E portano le pistole. Come minimo è da irresponsabili […]”.

 

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