Innovazione e capacità tecnologica produttiva

L’innovazione non è mai neutra. Sposta in avanti le capacità produttive, trasforma gli oggetti, modifica la percezione del se e del mondo. La scoperta del ferro, per fare un esempio molto lontano, non produsse solo una maggiore capacità in battaglia e un aumento delle possibilità di conquista ma generò una percezione soggettiva di potenza e superiorità nei popoli che avevano acquisito tale capacità tecnologica rispetto a quelli che erano ancora… “indietro”. Chi sottovaluta la potenza della tecnologia sotto il profilo storico e politico commette un errore strategico che si ripercuoterà in maniera indelebile nel proprio percorso sociale e umano. Come accade spesso anche atteggiamenti romantici, legati ad un “pre-giudizio” positivo sul “come eravamo”, sorvolano che il “come eravamo” era figlio di una antecedente “rottura tecnologica” divenuta, con il tempo, parte di noi stessi, al punto di viverla come “naturale”. La storia umana non ha nulla di “naturale”. L’umano si differenzia dagli altri animali per la necessità che ha di trasformare il mondo per sopravvivere. Dai tempi dei tempi, l’umano si deve appropriare di pellicce di altri animali per coprirsi e proteggersi, cacciare altri animali con strumenti che moltiplichino le capacità del proprio corpo, modificare la natura per coltivare delle specie di piante per sopravvivere, costruire comunità integrate in funzioni, darsi delle “regole” in continua evoluzione per governare i conflitti tra membri della sua specie e cosi via. La concezione dell’uomo “naturale” è pura ideologia costruita dagli individui che siedono nella parte alta della piramide di distribuzione della ricchezza prodotta dalla attività umana per mantenere intatta la loro posizione. Da quel punto di osservazione si giudicano, da parte loro, le “innovazioni”: se “stabilizzano” la forma di potere esistente saranno “buone e utili”; se mettono in forse o addirittura destabilizzano, il potere esistente allora sono “cattive e nocive”.  La storia è piena di esempi di tali conflitti e la vicenda di Galileo Galilei o quella di Giordano Bruno, sono lì a dimostrare come funziona socialmente e politicamente il rapporto tra innovazione e potere. Basterebbe fare un semplice esercizio mentale: al tempo di Galileo Galilei noi come ci saremmo schierati? E riportando alla nostra vita odierna, siamo sicuri di avere lo stesso atteggiamento che pensiamo avremmo avuto in quel frangente storico o ci stiamo comportando, oggi, come si comportarono gli inquisitori al tempo?

L’innovazione poggia per la stragrande parte su due enormi pilastri che si autoalimentano a vicenda: la conoscenza scientifica e la tecnologia. Molto spesso questo intreccio si confonde nella sua reale dimensione “pratica” la punto che in questi anni si parla esplicitamente di un suo connubio: la tecno-scienza.

Per comprendere la “qualità” degli anni che stiamo vivendo, però, dobbiamo allontanare lo sguardo dal quotidiano e osservare la storia umana con uno sguardo di lungo periodo. In questi anni, infatti, stanno evolvendo rapidamente conoscenze millenarie e tecnologie che hanno accompagnato e generato (nel vero senso della parola) l’uomo che sta calcando la terra in questi anni. Si chiudono dei cicli storici che stanno dando vita ad una nuova realtà e questa nuova realtà è contrastata da due grandi forze: quelle sconfitte dall’ultimo salto storico vissuto dall’umanità (il passaggio dalle società agricole a quelle industrial, con la fine della società aristocratica e l’avvento delle società democratiche) e quelle che sono state al comando nel periodo d’oro della borghesia-industriale.

Il salto che abbiamo davanti ai nostri occhi, quello che si basa sulla potenza delle tecnologie sviluppate partendo dal digitale e che ci ha consegnato la possibilità di intervenire sulla storia genetica della vita sul pianeta, di iniziare a sviluppare sistemi di Intelligenza Artificiale in grado di auto-apprendere dalla loro esperienza, di creare strutture robotiche con capacità di intervento più ampie di quelle del corpo umano, di generare materie e componenti su scala atomica con caratteristiche e potenzialità non presenti nei materiali in natura o dalla loro composizione, questo salto si accompagna con la rottura dei modelli di trasmissione delle idee e delle forme relazionali che la rigida forma del “testo” scritto ci aveva consegnato e con il limite del fare umano segnalato dalla scarsità delle risorse a disposizione e dalla rottura degli equilibri sistemici della ecosfera.

Un’innovazione forte è necessaria e necessita non tanto di una maggiore “potenza tecnologica” ma di una capacità d’indirizzo nuova del fare. Inutile continuare a inondare di risorse un sistema che è giunto al collasso per provare a ritardare il suo crollo. Serve il coraggio di cambiare il sistema e questo richiede nuove prospettive umane.

Sergio Bellucci

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