Il papà dell’uomo si chiama Australopitecus sediba

Il ”papà” dell’uomo si chiama Australopitecus sediba ed è vissuto quasi 2 milioni di anni fa. Secondo la terminologia tecnica utilizzata in antropologia per indicare un genere di ominidi precedenti agli homo e che sta a significare scimmia del Sud, il termine Sediba ricorda invece il luogo del ritrovamento.

Gli studiosi, con il termine ominidi, indicano i membri della grande famiglia che include uomini, scimmie moderne e gli antenati comuni. Lo riporta con una serie di cinque articoli la prestigiosa rivista Science, dove si analizzano i dettagli di una serie di fossili, di cinque individui, scoperti in Sudafrica nel 2010 e datati con grande precisione a 1,997 milioni di anni fa.

Dalla scoperta di questo gruppo di ominidi, avvenuta nell’agosto 2008 nel sito di Malapa (Sudafrica), sono stati portati alla luce oltre 220 frammenti di ossa di almeno 5 individui di ominidi. I fossili sono stati ritrovati nell’area di un’antica grotta dove circa 2 milioni di anni fa questi antichi progenitori dell’uomo sono scivolati probabilmente a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro. Un rapido accumulo di sedimenti ha poi preservato i corpi nel tempo. Il grado di conservazione di alcuni resti è eccellente e sono stati individuate piccole parti di materiale organico, probabilmente tessuti molli o pelle, che sono tuttora analizzati dagli esperti. Gli studi si sono concentrati in particolare su due individui, quelli in migliori condizioni: un piccolo di 10-13 anni e una femmina. Lo studio dell’anatomia di questi fossili ha portato una serie di nuovi dati che ha sorpreso i ricercatori. In particolare il cervello ha mostrato una conformazione che non rientra nei modelli ipotizzati finora e relativi alla transizione al genere Homo, mentre la struttura della mano appare molto diversa da quella delle scimmie e risulta avere tutte le caratteristiche adatte ad afferrare e manipolare oggetti. Gli arti inferiori presentano invece una combinazione tra quelle umane e quelle dei i primi ominidi.

I fossili rinvenuti sono datati tra 1,97 e 1,98 milioni di anni fa, sulla base di una delle più accurate misurazioni mai fatte su resti di ominidi. La datazione di un fossile è una questione molto complessa, in quanto si tratta generalmente di resti troppo antichi per poter utilizzare il noto metodo del radio-carbonio, che dimostra una grande precisione ma è utilizzabile solo su campioni risalenti a meno di 50.000 anni. Le analisi di fossili più antichi non possono essere eseguite sul campione stesso, ma sui materiali che li circondano, e un primo studio aveva prodotto un margine di incertezza di circa 200.000 anni. Analisi più accurate condotte successivamente hanno ridotto il margine a 3.000 anni.

 

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