A Facebook non è consentito disattivare profili in base a violazioni solo presunte ed evidenziate senza contraddittorio. Il social network dovrà pagare una penale per ogni giorno di ritardo nella riattivazione dell’account immotivatamente disattivato.
Lo decise il Tribunale di Pordenone che, pronunciandosi nella causa civile n. 2139/2018, ha accolto il ricorso ex art. 700 c.p.c. promosso da un utente Facebook che si era visto disattivare e cancellare il profilo personale e, di conseguenza, era stato privato della possibilità di gestire la sua pagina presente sul social.
L’atteggiamento di Facebook, secondo il giudice, violava le stesse regole contrattuali stabilite dal social, nonché il diritto di libera espressione del pensiero come tutelato dalla Costituzione.
E la stessa società conferma che “l’utente è libero di condividere i contenuti con chiunque, in qualsiasi momento” e si impegna ad assicurare “l’offerta di esperienze coerenti e senza interruzioni nei prodotti delle aziende di Facebook”.
Nel caso in esame il Tribunale ritenne che Facebook abbia sanzionato l’utente “senza consentire allo stesso di giustificarsi, adottando un rimedio del tutto sproporzionato rispetto agli addebiti mossi, finendo così non solo per violare le norme contrattuali, ma anche violando i diritti costituzionalmente garantiti al ricorrente”.
Con riferimento al periculum in mora, il magistrato osservava che la necessità di un’immediata tutela delle ragioni del ricorrente si giustifica in ragione della circostanza che il prolungarsi del “congelamento” di una pagina Facebook determina l’assoluta perdita di interesse degli utenti nei confronti della stessa e, di conseguenza la vanificazione di tutto il tempo speso e l’attività svolta dal ricorrente per la sua implementazione, con l’irrimediabile perdita dei followers finora acquisiti.
Valutando la situazione, il Tribunale non solo ritenne che vada accordata all’utente la tutela d’urgenza, che può essere concessa per neutralizzare qualsiasi periculum in mora che risulti essere imminente e irreparabile, ma anche debba essere applicato l’art. 614-bis del codice di rito che ha introdotto le c.d. “astreintes” (Misure di coercizione indiretta).
La norma consente al giudice di fissare, su istanza di parte e con il provvedimento di condanna all’adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro, una soma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento.
Nel caso di specie, oltre a ordinare a Facebook l’immediato ripristino del profilo e la riattivazione del elativo accesso alla gestione della pagina, il giudice stabiliva che il social network dovrà pagare una penale all’utente di 150 euro per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento.