Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante la cerimonia del Ventaglio al Quirinale, Roma, 25 luglio 2019. ANSA/ALESSANDRO DI MEO

Cantiere riforme al via con il premierato di Giorgia Meloni composto da 5 articoli

Ha preso il via  il confronto tra Governo e opposizioni sulle riforme costituzionali che ancora prima di iniziare era già in salita. E il ‘day after’ registra posizioni ancora decisamente distanti con la Premier Meloni che continua a ribadire che cercherà l’intesa con le opposizioni ma in caso contrario tirerà dritto per la sua strada: ‘Non accetto atteggiamenti aventiniani o dilatori. Voglio fare una riforma ampiamente condivisa ma la faccio perché ho avuto il mandato dagli italiani e tengo fede a quel mandato: voglio dire basta ai governi costruiti in laboratorio, dentro il Palazzo, ma legare chi governa al consenso popolare’.

Parte quindi  la   riforma sul premierato di Giorgia Meloni, che non è la riforma forte sognata da Silvio Berlusconi ma è  una riforma composta da 5 articoli, sui quali la maggioranza ha trovato l’accordo.

La riforma sul premierato è stata materialmente scritta dalla ministra delle Riforme istituzionali, Maria Elisabetta Alberti Casellati. “Abbiamo fatto un grande passo avanti verso la ‘riforma delle riforme’ che darà stabilità al Paese e restituirà centralità al voto dei cittadini con l’elezione diretta del premier”.

Il testo sul premierato verrà presentato venerdì 3 novembre in Consiglio dei ministri. Questa riforma costituzionale comporta  l’elezione diretta del premier, che attualmente viene designato dal Capo dello Stato. La riforma andrebbe a modificare 3 articoli della Costituzione: l’88 che parla del potere del capo dello Stato di sciogliere le Camere, il 92 sulla nomina del premier e il 94 sulla mozione di fiducia e sfiducia al governo. Se la riforma andasse in porto, dalla prossima legislatura le votazioni per le elezioni di deputati e senatori e l’elezione del presidente del Consiglio avverrebbero tramite un’unica scheda elettorale.

Oggi il premier non è votato dai cittadini e non viene eletto da loro ma viene semplicemente nominato in base ai risultati conseguiti dalle coalizioni che lo esprimono già in campagna elettorale. Quando il loro candidato premier, o il partito che lo sostiene,  vince con un risultato netto e indiscusso, allora in genere il presidente della Repubblica si limita a conferire il mandato al leader della coalizione vincitrice. Ma in situazioni politiche più frastagliate e incerte, il presidente della Repubblica, dopo delicate consultazioni, conferisce l’incarico non a chi ha preso la maggioranza relativa dei voti, ma a chi offra la maggiore garanzia di poter formare un governo quanto più stabile possibile. Ecco perché a Palazzo Chigi può anche andare un soggetto diverso da chi ha vinto le elezioni.

Secondo la riforma sul premierato, il capo dello Stato non avrebbe più il potere di nominare il premier, ma dovrebbe limitarsi all’atto formale di conferire l’incarico al premier eletto dai cittadini.

Il presidente della Repubblica, resterebbe figura di garanzia e manterrebbe il potere di nomina dei ministri, su indicazione del capo del governo.

Legge elettorale con premio di maggioranza

In vista di una maggiore stabilità politica, Giorgia Meloni punta a introdurre un sistema elettorale maggioritario con un premio di maggioranza del 55% a candidati e liste collegate al candidato premier eletto.

Addio ai senatori a vita nominati

La riforma Meloni sul premierato fa piazza pulita anche della facoltà del capo dello Stato di nominare i senatori a vita. La riforma lascerebbe in carica i senatori a vita attualmente in Parlamento.

Legge anti-ribaltone

Viene prevista una norma anti-ribaltone: in caso il premier dovesse dimettersi o decadere dal ruolo, il presidente della Repubblica potrebbe assegnare l’incarico di formare un nuovo governo al premier dimissionario o a un altro parlamentare collegato al presidente del Consiglio al fine di “attuare le dichiarazioni relative all’indirizzo politico e agli impegni programmatici su cui il Governo del Presidente eletto ha chiesto la fiducia delle Camere”.

Il Pd e il M5s non ci stanno a un radicale stravolgimento dell’architettura istituzionale, al passaggio da una Repubblica parlamentare a una presidenziale. E in uno stato di incertezza sull’esito delle trattative con l’opposizione spunta anche l’ipotesi di una commissione ad hoc. Per la leader dem Elly Schlein, tra l’altro, quella delle riforme “non è una priorità del Paese”. Bene rafforzare la rappresentanza e la stabilità magari riformando la legge elettorale, senza liste bloccate, con la sfiducia costruttiva, ma non a scapito dei “pesi e dei contrappesi”, del parlamento e soprattutto ai danni del presidente della Repubblica. “Non siamo per ridimensionare il ruolo del presidente della repubblica verso un modello di un uomo o un donna sola al comando”, ha detto la segretaria del Pd.

La delegazione del Movimento 5 Stelle, che ha aperto la giornata di incontri guidata dal leader Giuseppe Conte, mette subito nero su bianco che non prenderà in considerazione né presidenzialismo né premierato. “Abbiamo condiviso – spiega Conte all’uscita – una diagnosi sul nostro sistema, a partire dalla instabilità degli esecutivi, ma da questo primo incontro non è venuta fuori una condivisione delle soluzioni. Siamo disponibili a un rafforzamento dei poteri del premier ma in un quadro che non mortifichi il confronto parlamentare e che non mortifichi neppure la funzione del presidente della Repubblica, che ha una funzione di garanzia, e ha un ruolo chiave”.

L’idea di Conte, che non piace però al governo, è quella di una commissione ad hoc sulle riforme: “Siamo disponibili, per quanto riguarda il metodo, al dialogo. Abbiamo proposto una commissione parlamentare, raccomandiamo questa soluzione”.

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