Ultimo consiglio dei ministri per Cameron. Domani Theresa May premier

Ultimo consiglio dei ministri oggi per David Cameron che domani lascerà la guida del governo britannico  a Theresa May, suo ministro dell’Interno dal 2010  e da ieri nuova leader dei Tory.  Svolta, quindi, nel Regno Unito con la May indicata come primo ministro e che varcherà domani il portoncino al numero 10 da padrona di casa, seconda donna dopo Margaret Thatcher. Con questo impegno si incarica di traghettare il regno, senza ripensamenti, verso il divorzio da Bruxelles. May, alla soglia dei 60 anni, lascia l’Home Office, il ministero dell’Interno, e sale alla guida del Paese in un momento fra i più delicati degli ultimi decenni e l’incarico formale glielo conferirà a Buckingham Palace un’altra donna, la regina Elisabetta, al suo premier numero 13 da Winston Churchill in avanti. Intanto, oggi, è arrivata l’elezione, di fatto per acclamazione, a leader dei Tory, un partito ricompattatosi attorno a lei dopo le divisioni del referendum sulla Brexit del 23 giugno.   Il premier britannico dimissionario David Cameron ha annunciato di essere felice di sostenerla e di passare a lei le consegne domani. La notizia arriva dopo che Andrea Leadsom ha formalizzato la sua rinuncia alla candidatura per la leadership Tory. Nata nella città costiera di Eastbourne, 60 anni da compiere, ha studiato geografia a Oxford. E’ lì che ha conosciuto il marito Philip grazie all’amica Benazir Bhutto, futura premier del Pakistan, che li ha presentati a un party di giovani Tories. Va a messa tutte le domeniche e non ha figli, è favorevole alle nozze gay ma ha votato contro le adozioni. Dopo la laurea e prima di buttarsi in politica ha lavorato alla Banca d’Inghilterra. Nel 2012 è diventata la prima presidente donna dei Tory ed ha cominciato la sua scalata che l’ha portata a svolgere un ruolo, quello di ministro dell’Interno, considerato in Gran Bretagna nella ‘top four’ degli incarichi dopo quelli di premier, cancelliere dello Scacchiere e ministro degli Esteri. In questi anni si è distinta per una politica inflessibile sull’immigrazione alzando la soglia del salario minimo per i lavoratori non europei che vogliono stabilirsi in Gran Bretagna. E si è guadagnata la stima dell’ala più conservatrice del partito con l’espulsione del predicatore radicale Abu Qatada. Ha anche ricevuti diversi attacchi da parte dei Labour e delle organizzazioni per i diritti umani quando ha lanciato la proposta, poi ritirata, di far uscire la Gran Bretagna dalla Convenzione europea per i diritti dell’uomo o quando decise di applicare la legge sul terrorismo per tenere in carcere David Miranda, partner del famoso giornalista Glenn Greenwald che ha fatto lo scoop sul caso Snowden. Sostenitrice, in sordina, del fronte ‘Remain’, continua a promettere che ‘Brexit vuol dire Brexit’ e con lei premier la Gran Bretagna lascerà l’Unione europea. A questo punto,  il difficile  viene ora. May, come dicevamo, è stata una tiepida sostenitrice di ‘Remain’ durante la campagna referendaria e,  in sostanza,  adotta buona parte della piattaforma di Leadsom, paladina di ‘Leave’. Nel suo primo discorso da capo del partito e primo ministro in pectore, dinanzi a Westminster, non nasconde che il regno dovrà affrontare ‘tempi incerti’ a livello politico ed economico, ma predica ottimismo. Garantisce una leadership forte e di esperienza per negoziare il miglior accordo possibile per l’uscita dalla Gran Bretagna dall’Ue e ‘forgiare il nostro nuovo ruolo nel mondo’: ‘Brexit significa Brexit e noi ne faremo un successo’, ripete come in un ritornello mentre a Bruxelles il neocommissario europeo in quota britannica, sir Julian King, attende un portafogli  già da separato in casa. La sua, insiste May, vuole essere una visione positiva del futuro del Paese, con la promessa di non guardare solo a pochi privilegiati,  cercando una maggiore equità fiscale per  ridurre le disparità di reddito fra i banchieri dorati della City e i comuni mortali, dando spazio ai lavoratori nella governance delle aziende. Alla May,  con una petizione sostenuta dal Mirror già viene chiesto un voto politico anticipato, ricordando come a suo tempo lei avesse fatto lo stesso con Gordon Brown quando divenne premier senza passare per le urne.  Ora il premier dovrà iniziare ad affrontare le sfida al timone della barca e dovrà  farlo con  un mare in burrasca.

Roberto Cristiano

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