Stragi mafiose del ’93: l’ex pm Boccassini indagata per non aver rivelato una fonte

L’ex procuratore aggiunto di Milano, ora in pensione, Ilda Boccassini, sarebbe stata indagata dalla procura di Firenze con l’accusa di false informazioni al pm aggravate dal tipo di indagine nella quale furono rese le dichiarazioni incriminate, ovvero il fascicolo delle stragi aperto presso la procura del capoluogo toscano. L’indagine si sviluppa nell’ambito delle indagini sulle stragi mafiose del 1993 e, in particolare, a finire all’attenzione della procura di Firenze è l’interrogatorio del 14 dicembre del 2021, quando Boccassini fu sentita in procura insieme con i colleghi di Caltanissetta nell’inchiesta.

È stata la giovane pm che da Milano scese a Caltanissetta per indagare con altri colleghi sulla morte di Giovanni Falcone. Tra i pochissimi che avevano capito, ma  inascoltati,  che Vincenzo Scarantino non c’entrava nulla con la strage di via D’Amelio e che era un falso pentito.

Lui, Giovanni Falcone, martire della lotta alla mafia, lei Ilda Boccassini, Pm “resistente”, che di Falcone fu collaboratrice per poi diventare, tra gli altri, capostipite del processo Ruby.  Un legame particolare, per certi versi unico, nel quale il confine tra amicizia e amore si perde nella chimica generata da un’immensa stima personale e umana.

A raccontarlo è Ilda Boccassini, in un capitolo dell’autobiografia “La stanza numero 30” (edito da Einaudi), nel quale l’ex magistrato racconta i più intimi stralci della sua vita, segnati in modo indelebile dall’incontro con quell’uomo dall’accento palermitano e dallo sguardo ipnotico. La scenografia è quella dell’inchiesta “Duomo Connection”, nella quale i due lavorano insieme per dimostrare le infiltrazioni di Cosa Nostra nel capoluogo lombardo. «Me ne innamorai» sentenzia Boccassini, con la schiettezza che l’ha sempre contraddistinta. Racconta di un «sentimento alto e profondo» nella quale entrambi erano consapevoli i non poter condividere momenti di coppia, per la gelosia non c’era posto: Falcone era felicemente sposato con Francesca Laura Morvillo. Un amore platonico, dunque, non per questo meno travolgente.

Come spessa accade, quell’intesa tra i due traeva le sue radice nei caratteri diversi, in modi differenti per raggiungere le aspirazioni comuni. Ilda è ribelle, impulsiva, Giovanni è più riflessivo. «Ci confrontavamo e anzi litigavamo spesso, perché – per esempio – non capivo ancora certe sue scelte di mediazione, così lontane dalla mia visione dei rapporti con il mondo» dice Boccassini.

Da lì in poi, la vita di Boccassini ha subito una svolta. Non poteva fermarsi, non era nelle sue corde e soprattutto non è quello che Falcone avrebbe voluto. E allora Ilda rilancia, da lì in poi tutta la sua carriera professionale ruota attorno a un unico obiettivo, onorare la memoria di Falcone: «Se ci sono riuscita? La mia risposta è si, e poco mi interessa se altri non la pensano allo stesso modo».

In quell’occasione, sostengono da Firenze, l’ex procuratore aggiunto di Firenze avrebbe taciuto ai magistrati informazioni di cui sarebbe stata in possesso. In particolare, su una fonte riguardante le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia su Silvio Berlusconi. Nello specifico, non rivelò ciò che sapeva sulla fonte del giornalista Giuseppe D’Avanzo, un dettaglio riportato nel suo libro “La stanza numero 30”. Boccassini, infatti, venne convocata a Firenze per un chiarimento su uno scoop giornalistico sulle rivelazioni di un pentito circa flussi di denaro destinati a Berlusconi. In procura nel capoluogo toscano erano presenti anche i magistrati di Caltanissetta.

L’ex magistrato, nel libro, non cita la fonte, anche se sembra da lei conosciuta, e non lo ha fatto neanche ai magistrati, che adesso le hanno recapitato un avviso di conclusione indagini. Nel volume, Boccassini scrisse di aver saputo da D’Avanzo, a pochi giorni dalla morte, quale fosse la fonte delle notizie che lo stesso aveva pubblicato in un articolo a sua firma uscito nel 1994, in cui si riportavano le rivelazioni del pentito di mafia Salvatore Cancemi.

A seguito della lettura, i pm di Firenze che indagano sulle stragi di mafia, hanno convocato Boccassini per chiederle il nome di quella fonte, che nemmeno nell’autobiografia dell’ex procuratore aggiunto di Milano è stato riportato. Boccassini si sarebbe rifiutata di fare quel nome e così i suoi colleghi hanno dovuto procedere con l’accusa di violazione dell’articolo 371 bis del codice penale. In base a questo, “chiunque, nel corso di un procedimento penale, richiesto dal pm di fornire informazioni ai fini delle indagini, rende dichiarazioni false ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti sui quali viene sentito, è punito con la reclusione fino a quattro anni”.

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