PAT – I gestori dei rifugi fra aspettative, competenze e appartenenza al territorio

Quello del “rifugista” è un ruolo sempre più articolato, complesso e impegnativo che richiede professionalità e competenze diversificate. È quanto emerge da una ricerca, presentata oggi nell’ambito della 72^ edizione del Trento Film Festival, sull’evoluzione di questa professione. La ricerca è stata realizzata dal Servizio Turismo e Sport della Provincia autonoma di Trento, attraverso TSM-Accademia della Montagna, in collaborazione con l’Associazione Gestori dei rifugi del Trentino. I dati raccolti evidenziano le principali caratteristiche del rifugista trentino, figura professionale complessa e flessibile, pronta a interpretare ruoli diversi e svolgere molteplici attività. I rifugisti intervistati, infatti, si definiscono: ristoratori, albergatori, baristi, custodi di esperienze, guide e accompagnatori.

“La ricerca – ha spiegato Gianluca Cepollaro, responsabile di TSM-Accademia della Montagna – esplora l’evoluzione della figura professionale del rifugista. Una figura chiamata a gestire un compito complesso, che impegna a tempo pieno e richiede una professionalità evoluta, spesso costruita in molti anni di esperienza. I rifugisti trentini manifestano un significativo senso di appartenenza alla professione e al territorio e la disponibilità ad affrontare i cambiamenti in atto mettendosi in gioco in prima persona e collaborando con gli altri attori del sistema. Un punto di riferimento fondamentale anche per i nuovi frequentatori della montagna”.

“I rifugi – ha detto Alessio Bertò, del Servizio Turismo e Sport della Provincia autonoma di Trento – rappresentano un osservatorio privilegiato delle dinamiche e dei cambiamenti che interessano la montagna e tutti coloro che la frequentano. L’ascolto della voce dei gestori ci aiuta a interpretare in chiave attuale la funzione di presidio del territorio montano che la legge provinciale riconosce a queste strutture: i rifugi sono sentinelle dei cambiamenti, ma al contempo conservano il ruolo di custodi dei valori culturali e sociali della montagna”.

“I rifugi – ha sottolineato Roberta Silva, presidente dell’Associazione Gestori dei rifugi del Trentino – sono per eccellenza il presidio del territorio montano in cui vivono, sono l’avamposto del contesto in cui sorgono, gli osservatori privilegiati del cambiamento climatico e culturale che li circonda, i facilitatori verso l’incredibile patrimonio che il nostro territorio possiede, dei portatori di conoscenza della loro montagna e sono famiglia. I cambiamenti che possiamo osservare sia di frequentazione che di natura ambientale, portano necessariamente a dover trovare delle soluzioni per adattare strutture e gestione, ognuno nei limiti di ciò che è possibile e realizzabile, e come comunque è sempre stato fatto per far si che gli aspetti principali di presidio ed accoglienza non vengano mai a mancare”.

L’indagine ha affrontato il tema sia da un punto di vista quantitativo, coinvolgendo con un questionario 42 gestori iscritti all’Associazione, sia da un punto di vista qualitativo, incontrandone e intervistandone 11. I dati raccolti coprono in maniera omogenea il territorio provinciale toccando tutte le quote altimetriche, dai 600 agli oltre 3000 metri dei rifugi del Cevedale e della Marmolada, e presentando sia l’opinione di rifugisti che gestiscono strutture private, di gestori di rifugi CAI-SAT, di strutture di proprietà pubblica.

Per riuscire a coprire la diversità di ruoli da interpretare i rifugisti devono creare rete, stringendo contatti e relazioni con le strutture di fondovalle e con gli altri rifugi. La quasi totalità dei gestori dichiara di avere ottimi rapporti con i colleghi. È poi fondamentale creare un gruppo di lavoro solido, che alcuni gestori chiamano “famiglia allargata”, circondandosi di validi collaboratori, un rifugio su tre conta almeno 10 dipendenti, così da riuscire ad affrontare una clientela sempre più numerosa con aspettative crescenti rispetto alla qualità dell’offerta. Nella maggioranza dei casi si tratta di “rifugisti specializzati”, professionisti che hanno la gestione del rifugio come unica attività professionale: due su tre lavorano presso il rifugio e per il rifugio tutto l’anno, anche nei periodi di chiusura necessari all’organizzazione, alla manutenzione e alla promozione dell’attività. Il rifugista è tendenzialmente un professionista con esperienza consolidata, un “rifugista storico”, che per il 70% dei casi gestisce il rifugio da almeno 10 anni. Pur nella presenza di rifugisti giovani, l’età media del rifugista supera i 40 anni: la fascia d’età maggiormente rappresentata è quella tra i 50 e 59 anni. Il 50% dei rifugisti intervistati porta avanti un’attività familiare, è “rifugista per nascita”, che cerca di coniugare famiglia e passione per la montagna.

Per quanto riguarda la clientela, i gestori dichiarano di incontrare sempre più “nuovi turisti”, soprattutto trekker occasionali, biker e runner. A spingere la clientela verso i rifugi è prevalentemente l’interesse verso il paesaggio, il cibo e la possibilità di pernottare in un contesto unico, non mancano però gli interessi verso gli aspetti ambientali, geologici, naturalistici (oltre il 60% della clientela) e quelli storici e culturali del territorio (oltre il 50%). È di fronte a questa molteplicità di interessi e aspettative che il rifugista deve essere, al contempo: interlocutore esperto dell’universo alpinistico (secondo il 92% dei questionari), testimone della cultura del territorio (90%) e profondo conoscitore del luogo (ancora 90%), nonché operatore turistico (83%) e persona affidabile in grado di essere un possibile riferimento per la sicurezza (66%). La complessità della professione del rifugista si riflette sul rifugio (inteso come edificio e spazio circostante) che si trova svolgere differenti funzioni: ristorativa, d’alloggio, punto d’informazioni, tappa di arrivo o di partenza, punto di soccorso. I rifugi trentini sembrano ben supportare tali funzioni, infatti, solo il 31% dei gestori dichiara che il rifugio in cui lavorano ha bisogno di modifiche significative, il 60% dichiara di volere piccole modifiche, il 9% non vuole modifiche.

Gli aspetti su cui bisogna maggiormente investire, affermano i rifugisti trentini, sono legati soprattutto all’educazione alla frequentazione della montagna, alla corretta comunicazione e alla professionalità. È così che i rifugi possono continuare ad essere uno straordinario patrimonio culturale, un presidio del territorio, un riferimento per la fruizione dell’alta quota e per la promozione di una cultura diffusa della montagna.

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