Italiani rapiti in Libia, con ipotesi di ricatto al governo italiano

Potrebbe esserci una lunga mano dietro il rapimento dei tre tecnici della Con.I.Cos,  gli italiani Danilo Calonego e Bruno Cacace,  e un canadese del quale si sa solo il nome di battesimo, Frank,  rapiti a Ghat, nel sud della Libia, la mattina del 19 settembre. Il team dell’Aise che è stato inviato a Ghat nei giorni scorsi   si è incontrato con il consiglio municipale, i capi tribù e altri soggetti in qualche modo in grado di contribuire alla liberazione degli ostaggi.   Gli esecutori materiali sarebbero una banda di predoni noti alle autorità locali per il contrabbando verso Niger e Algeria e per una serie di rapimenti,   con la quale è stata aperta una trattativa, tramite intermediari locali. Ma gli operativi dei nostri servizi, nei loro contatti, hanno anche ricevuto una segnalazione che indica nel generale Haftar,  l’uomo forte del governo di Tobruk,  come l’ispiratore del rapimento.  Fonti affermano  che Haftar vuole utilizzare il rapimento come arma di pressione verso l’Italia, paese considerato ormai ostile per la scelta del nostro governo di appoggiare pienamente il governo di unità nazionale di al Serraj,  capo del Consiglio presidenziale libico,  e premier designato del governo di accordo nazionale di Tripoli. La Camera dei rappresentanti di Tobruk (Hor) votò la bocciatura del governo unitario libico. Il governo di accordo nazionale fu nominato dal Consiglio presidenziale libico, a sua volta nato dagli accordi firmati a Skhirat, in Marocco. Da allora il parlamento libico con sede a Tobruk, riconosciuto dalla comunità internazionale, non è riuscito a votare la fiducia ai ministri del nuovo esecutivo, nonostante oltre 100 deputati su 200 abbiano firmato nei mesi scorsi un documento a sostegno del premier Sarraj. Ad opporsi sono i deputati fedeli al generale Khalifa Haftar, comandante dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna), e all’entità governativa libica orientale non riconosciuta guidata da Abdullah al Thani, che si riunisce ad al Bayda, piccola città a metà strada fra Tobruk e Bengasi. In Cirenaica il capo-milizia Haftar, ex generale gheddafiano, con le armi e l’appoggio dell’Egitto,  ha un piano che di fatto è per la separazione della Libia. Haftar con i suoi armati ha messo sotto tutela il premier di Tobruk, Al Thinni, e in nome della guerra combattuta a Bengasi contro Ansar Al Sharia,  e contro altri gruppi jihadisti, vorrebbe essere riconosciuto come capo supremo delle forze armate della nuova Libia. Cosa che metà della Cirenaica,  e tutte le fazioni di Tripoli,  non accetteranno mai. Al momento i nostri servizi non hanno trovato riscontri all’ipotesi  che  ci sia Haftar dietro il rapimento, e stanno  verificando questa ipotesi  con i loro contatti in tutta la Libia.  Da prendere in considerazione che  il portavoce delle forze di Haftar ha lanciato accuse ad Aqmi (al Qaeda nel maghreb islamico) di essere responsabili del sequestro, tesi smentita dal consiglio municipale di Ghat e dallo stesso ministero degli Esteri italiano. Paradossalmente, se il sequestro avesse un ispiratore a Tobruk la sua soluzione sarebbe più semplice di quella di un rapimento per estorsione,  e molto più semplice di quella di un sequestro organizzato da gruppi fondamentalisti. Un accordo sarebbe più facile, sulla base di contropartite politiche.

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