Elezioni politiche in odore di trasformismo: ‘M5S 2.0 e Alleanza riformista’

Il M5S è a rischio scissione, il suo destino è racchiuso tra due date: tra il 7 e il 21 giugno si gioca una partita della vita. La data cerchiata in rosso è la prima. Conte non ne parla, ma il destino del Movimento e del suo in particolare è appeso ancora una volta al Tribunale di Napoli.

Il 7 giugno è la data in cui   il Tribunale di Napoli potrebbe di fatto sospendere la struttura di vertice del Movimento, con l’annullamento pure dell’ultimo voto sullo statuto. Oppure legittimare il nuovo corso.

“Qualora dovesse arrivare un pronunciamento sfavorevole, l’ex premier con i suoi ha già comunicato che non si tornerebbe indietro. E quindi non ci sarebbe un direttorio a 5, non si andrebbe sullo schema invocato da Grillo”, leggiamo in un retroscena del Messaggero. Potrebbe partire pertanto il nuovo partito di Conte.

L’avvocato pugliese ostenta sicurezza tra i suoi: «I giudici non potranno fermarmi. Io sono stato legittimato dal pronunciamento degli attivisti». Ma  gli oppositori dell’ex premier parlano già di un  «un ko tecnico in arrivo»: “sarebbe di sicuro un danno d’immagine enorme per l’ex premier, con una via stretta da percorrere. Ovvero un nuovo statuto per un nuovo Movimento 5 stelle“.

Il che significherebbe di fatto “un partito personale. Con il rischio di una scissione dietro l’angolo”. Perché? Perché già Beppe Grillo, il fondatore del M5S, ha bocciato un marchio nuovo con il nome di Conte nel simbolo: ossia l’esperimento che si tenterà a Rieti. «Non è nella natura del Movimento e comunque le avventure solitarie non hanno portato fortuna a nessuno», ha sentenziato Grillo. “I governisti hanno già fatto sapere che non farebbero parte di un nuovo soggetto, qualora Conte decidesse di imboccare quella strada. E anche l’ipotesi di un’altra scissione è sul tavolo”. Ministri e parlamentari dei gruppi che intendono “sostenere l’esecutivo senza se e senza ma”, temono che  che si verifichi “una sorta di tempesta perfetta. Con Conte che – questo il sospetto all’interno dei gruppi – potrebbe lasciare a chi non intende seguirlo la bad company e sfruttare la svolta per staccarsi dal governo ed arrivare ad una opposizione responsabile”. Conte esibisce sicurezza e continua a rassicurare gli alleati circa l’idea di uno strappo col governo. Ma i nodi sono tanti e aggrovigliati. Non li vede solo che non vuole vederli.

La scissione è dietro l’angolo avvalorata da divisioni macroscopiche: all’interno il Movimento ha posizioni diverse sulle armi in Ucraina; sul nodo inceneritore alcuni potrebbero decidere di  andare allo scontro con l’alleato Pd: “I parlamentari M5S romani si sono riuniti con i tecnici per limare l’emendamento da presentare nelle Commissione Finanze e Bilancio: si sono registrate sfumature diverse tra chi intende andare allo scontro e impedire che la materia sia demandata al commissario Gualtieri; facendo notare che il Pd non ha mai inserito la realizzazione del termovalorizzatore nel piano regionale; e chi, invece, intende prendere tempo con il convincimento che «tanto non se ne farà nulla»”, leggiamo nel retroscena. Su tutto questo sconquasso interno aleggia dunque, la data del 7 giugno: Conte potrebbe uscirne male e dare il via a un suo partito. Sarebbe una strada in sostanziale solitudine: «Ma tanti di noi non lo seguirebbero», taglia corto un big. In tutta questa confusione c’è un’altra incognita: le primarie congiunte col Pd alle regionali siciliane d’autunno. Con possibilità di replica nel Lazio. Una beffa che si tinge d’assurdo. In quella tornata elettorale isolana potrebbe debuttare un “altro” M5S:  “un M5S 2.0”. Con grave preoccupazione dei parlamentari della Sicilia, timorosi che lo strumento delle primarie “farebbe emergere la differenza di struttura tra M5S e Pd”.

Elezioni politiche, il Pd trema e pensa a come arginare la sconfitta. Ne scrive  Libero, raccontando che i sondaggi fanno tremare lo stato maggiore del Nazareno. Soprattutto quelli che si riferiscono al Nord dove il M5S è praticamente inesistente mentre al Sud il voto di protesta che aveva premiato i grillini si sposta su Fratelli d’Italia. Un quadro plumbeo per Enrico Letta e i suoi dirigenti. I quali hanno compreso che il “campo largo” teorizzato da Goffredo Bettini e praticato dall’ex segretario Zingaretti, cioè l’alleanza col M5S, è ormai inutile. Sia per vincere che per attrarre elettori.

E allora, scrive Libero, visto che non si riesce a cambiare la legge elettorale, bisogna inventarsi qualcosa “se no, come dice un dirigente dem, «Giorgia Meloni va diritta a Palazzo Chigi». Servirebbe, hanno suggerito alcuni dem esperti di sondaggi al segretario Enrico Letta, una novità: mettere in campo qualcosa di inedito per dare un valore aggiunto al marchio Pd, che oltre queste percentuali non va”.

E così si riaffaccia la solita vecchia idea. Cambiare la facciata per mantenere in vita il vecchio e cadente edificio. “Quella, cioè, di dare vita – scrive Libero – a un nuovo contenitore, ovviamente con un nuovo nome. «Come fece Romano Prodi con l’Ulivo», spiega un dem. Anche allora l’alleanza dei progressisti partiva svantaggiata. Sulla carta valeva meno. Ma l’idea dell’Ulivo – lanciare un nuovo soggetto, con un nuovo nome, per quanto riunisse partiti esistenti -fece fare il salto”.

Rifare l’Ulivo, con un altro nome. I nomi sono già sul tappeto. “Progressisti” oppure “Alleanza riformista”.

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