Giulio Regeni, il ricercatore friulano torturato e ucciso nella capitale egiziana, in una foto tratta dal suo profilo Facebook. +++ATTENZIONE LA FOTO NON PUO' ESSERE PUBBLICATA O RIPRODOTTA SENZA L'AUTORIZZAZIONE DELLA FONTE DI ORIGINE CUI SI RINVIA+++

Egitto e caso Regeni: ‘Il ministero dell’Interno egiziano pubblica un piano segreto’

Il ministero dell’Interno egiziano ha inviato per errore ai media un ‘piano segreto’ per affrontare la crisi creata dall’arresto di due giornalisti all’interno della sede del Sindacato della stampa, da sempre inviolato. Lo riferisce il sito del quotidiano ‘Al Masry Al Youm’. Il dicastero ha poi inviato agli stessi media egiziani una seconda mail sottolineando che l’invio era dovuto ad un ‘errore tecnico’. Citando fonti del ministero, il sito scrive che l’episodio riflette un presunto stato confusionario in cui versa il ministero. Il piano doveva essere sottoposto all’attenzione del ministro, il generale Magdy Abdel Ghaffar, e ora sono in corso indagini allargate nei confronti di alcuni dipendenti del dipartimento informazione del ministero. La ‘Nota ai media’ forniva indicazioni su come affrontare a livello mediatico le ripercussioni del caso di due giornalisti Amr Badr e Mahmoud el Sakka arrestati domenica sera nella sede del Sindacato con l’accusa di diffusione di notizie false e tentativo di rovesciare le istituzioni. Nel testo si esprimono valutazioni sulla escalation del sindacato, premeditata e finalizzata a ottenere vantaggi elettorali. Si prevede una campagna feroce contro il ministero che esorta a tenere una posizione fissa e immutabile, minacciando di punire chi dovesse discostarsene. Nel lungo documento si prevede anche che l’intervento diretto del ministro dell’Interno sarà accolto da dubbi da parte dei media e si consiglia di ricorrere a esperti della sicurezza o a generali in pensione, impostando un coordinamento con alcuni programmi televisivi per invitarli a parlare e ad esporre il punto di vista del ministero. Il dicastero, da tempo sotto pressione per il caso della tortura a morte di Giulio Regeni di cui da tre mesi non si trovano i responsabili, è stato criticato oggi anche dal principale quotidiano governativo, Al Ahram, che apre l’editoriale scrivendo: ‘Il ministero dell’Interno ha commesso molti errori nell’ultimo periodo e il più recente è il comportamento deplorevole nei confronti dei giornalisti’. Rientra poi in campo l’accesso all’account di posta elettronica di Giulio Regeni, un mese dopo la sua scomparsa, effettuato da un dispositivo mobile egiziano. Un iPad forse, o proprio da quel telefono di Giulio che dal 25 gennaio è sparito nel nulla. Qualcosa di più gli investigatori italiani sperano di saperlo nelle prossime ore, visto che hanno infatti chiesto a Google di ottenere l’identificazione dell’Ip da cui è stato effettuato quell’accesso che i magistrati hanno scoperto dall’analisi del computer di Giulio.
Un particolare che potrebbe rappresentare una svolta nelle indagini. Gli egiziani hanno sempre sostenuto, infatti, di non essere mai riusciti a entrare nel profilo Google di Giulio. Lo hanno fatto, quindi, altri. Qualcuno che conosceva le password del ricercatore italiano, ipotesi però ritenuta poco probabile perché il ragazzo era molto scrupoloso e difficilmente poteva affidare la chiave d’accesso alla sua mail a qualcuno. Oppure può aver avuto facilmente accesso chi aveva il suo telefonino, dove la password era memorizzata. Di più su quell’attività non si sa. Tra le richieste effettuate c’è quella che chiede di verificare se Giulio avesse attivato Google Maps il giorno della sua scomparsa. In tal caso si potrebbe risalire al tragitto percorso da Regeni prima di sparire nel nulla. Al momento grazie all’analisi dei tabulati si sa che alle 19.59 il telefonino di Giulio aggancia la rete del metrò. Questo significa che è entrato nella stazione di Dokki, a pochi metri da casa sua, ed era diretto verso piazza Tahrir dove lo aspettava l’amico Gennaro. Qui si perdono le tracce del suo telefono e secondo la Reuters sarebbe stato arrestato in questa zona, ipotesi però quella dell’arresto seccamente smentita dal governo egiziano che ha provveduto, infatti, a denunciare i giornalisti.

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