Carnevale borbonico: proposta esclusiva di Villa Domi

Napoli. Si ispira al Carnevale borbonico, il raffinato evento in programma sabato sera, 2 marzo nei bellissimi saloni della storica Villa Domi, del patron Dimenico Contessa, una delle residenze nobiliari napoletane più suggestive e panoramiche, affacciata maestosamente sulla città, in posizione favorevole (via Scudillo, prossimità via Colli Aminei)“Abbracciame”, Gran Ballo carnascialesco in abiti d’epoca – periodo tra fine ‘700 e inizi ‘800, – avrà inizio alle ore 20,30 e vedrà la partecipazione di un pubblico selezionato, tra cui molti volti noti: rappresentanti istituzionali, giornalisti, artisti, imprenditori, professionisti.
Musica live d’epoca e buffet pure a tema.
In carta, delizie tipiche dei banchetti borbonici. Non mancheranno le tradizionali Mozzarelle di bufala campana, onore e vanti della Terra di Lavoro resa fiorente dai Borbone; le Lasagne, piatto tipico di questo periodo, cari a te Francesco II, soprannominato dal padre “Re Lasagna”, per quanto amava questa ghiottoneria che preferiva ad ogni altra tanto da mangiarla continuamente. Ovviamente, sarà preparata nella versione tipicamente napoletana, col mitico ragù ed un generoso ripieno, incominciando dalle caratteristiche polpettone che sposano la candida ricotta. “Mbuttunato” alla grande, pure un’altro caposaldo della Cucina di quel tempo: il rinomato Sartù di riso, timballo sopraffino creato nel Settecento dai monsù, cuochi francesi di corte, con l’intento di adattare il riso – allora usato per gli ammalati, su consiglio dei medici della Scuola amalfitana – al gusto della corte, facendo cosa gradita alla regina austriaca Maria Carolina. Numerosi gli ingredienti usati: ragù, piselli, pancetta, funghi, fior di latte o provola, polpettine di carne, salsicce, uova sode e, tradizionalmente, andrebbero messi anche i fegatini di pollo, per lo più eliminati nelle versioni moderne. Il nome del piatto avrebbe pure origini francesi: surtout è infatti il centrotavola usato nel Settecento e che veniva usato per portare in tavola il succulento sartù.
Ci saranno pure le Alici fritte, invitanti e stuzzicanti delizie del Golfo di Napoli. Il tutto accompagnato da generoso vino. Chiusura golosa con le immancabili chiacchiere da intingere nel denso sanguinaccio, scuro come l’inferno, ricco di cioccolata dal potere corroborante ed energizzante, per vegliare e danzare fino a notte e… tante sorprese!
Insomma, la parte degustativa sarà più che abbondante e sicuramente tradizionale.
Gli organizzatori precisano che la serata è rigorosamente in abito d’epoca, con possibilità di scelta, a nolo, tra bellissimi abiti di scena. Info: 081 5922233; allo stesso numero è possibile ottenere ogni altra spiegazione. Gli abiti sono realizzati con stoffe pregiate e manifatture curate, realizzati per films e spettacoli teatrali d’ambientazione storica.
Il periodi di Carnevale tradizionalmente iniziava Napoli il 17 gennaio con la festa di sant’Antonio Abate e i falò della roba vecchia, ovvero i cippi.
Informazioni iniziali si trovano nel volume “Ritratto o modello delle grandezze, delle letizie e meraviglie della nobilissima città di Napoli”, del marchese Giovan Battista del Tufo: nella Napoli aragonese il Carnevale era una festa riservata ai nobili, che partecipavano a giostre, tornei e ricevimenti in splendidi costumi e in armature smaglianti finemente rifinite.
Nel XVI secolo si organizzavano feste particolarmente sfarzose, ambite da molti principi e regnanti che aspiravano particolarmente ad essere invitati.
Fu durante il Viceregno che il popolo napoletano si accaparrò la festa del Carnevale che diventò una sua manifestazione, alla quale la nobiltà comunque partecipava, in un amalgama sociale che includeva tutte le categorie: il popolo si esibiva nelle strade e nelle piazze, iniziando da via Toledo e Largo di Palazzo, dove si intonavano canti dialogati carnevaleschi e si inscenavano rappresentazioni mascherate.
Famosa quella organizzata dal principe di Tarsia: con il fratello volle una sfilata per le vie di Napoli, con paggi riccamente vestiti e soprattutto in pompa magna la corporazione dei pescivendoli che sfoggiavano gioielli prestati dagli orefici che si erano ingraziati, donando loro ripetutamente provvigioni di pesce fresco.
Notizie certe di carri degni di nota, risalgono alla parata del 1656. Negli anni successivi, furono addobbati con prodotti alimentari che si andavano ad aggiungere alle scene allegoriche: i carri-cuccagna – per la gioia del popolo affamato che li saccheggiava – collegati alle cavalcate, alle quadriglie dei cavalieri, dei baroni e delle Corporazioni delle Arti. Ma gli incidenti, anche gravi, che si verificavano di frequente, spinsero Carlo di Borbone, nel 1746, a deviare il percorso tradizionale dei carri-cuccagna: invece di attraversare le vie della città, si decise di allestirli nel Largo di Palazzo, facendoli presidiare da truppe armate finché non veniva autorizzato il saccheggio, col fatidico via: era allora che i popolani e le “vajasse” davano pieno sfogo alle personali velleità accaparratrici, diventando protagonisti di uno show inimmaginabile.
Successivamente, ai carri vennero sostituite le “cuccagne”, in numero di quattro, destinate al saccheggio nelle ultime quattro domeniche di Carnevale: il segnale dell’assalto era dato dallo sparo del cannone di Castelnuovo. Chi si aggiudicava il bottino più ricco, veniva dichiarato vincitore e portato in trionfo.
Nella corte napoletana di Carlo di Borbone, il Carnevale rivestiva una grande importanza: era tra le festa più gradite da tutta la popolazione, probabilmente la più attesa.
Fu nel 1737 che la società partenopea stabilì di organizzare un carnevale che potesse rimanere impresso per sempre nella memoria storica per sfarzo, opulenza, eccentricità, all’insegna di un assoluto grandioso divertimento.
Quell’evento coincise pure con l’addio al celibato di Carlo di Borbone che a quel tempo non era ancora sposato. Il carnevale napoletano del 1737 fu quindi prolungato per giorni e giorni fino al 22 febbraio.
Si racconta che il re di Salerno in quell’occasione arrivò a Toledo con la sua carrozza e undici cavalieri scherzosamente travestiti da popolani che dal finestrino lanciavano al popolo confetti colorati.
Il Carnevale napoletano era caratterizzato soprattutto dal “rovesciamento”: cioè le donne si travestivano da uomini e questi da donne – con imbottiture per rotondità posticce o per evidenziare invece i simboli della loro virilità, soprattutto quando si travestivano da odalische per gli spettacoli in uso – oppure i nobili vestivano gli abiti dei popolani e viceversa, in un liberatorio scambio di ruoli: essere altri giusto per qualche ora. Inoltre, era evidentemente presente una certa ambiguità.
Per le strade vi erano molti banchetti con tante prelibatezze: salumi, selvaggina, dolciumi e prodotti della terra, secondo le indicazioni della contessa di Santo Stefano, considerata all’epoca la regina delle feste. Sua fu l’idea di dividere in gruppi dame, cavalieri, musicanti e attori e pure di allestire vari spettacoli.
Quell’anno in particolare, il Carnevale dei Borbone raggiunse l’apice dell’eccentricità e della stravaganza. Tutta la popolazione partecipò al gran ballo del Giovedì grasso per il quale gli abiti furono confezionati dai sarti più importanti di corte. Il re, inizialmente vestito sfarzosamente con un abito indiano, successivamente si cambiò, sostituendolo con un costume allegorico in cui raffigurava Nettuno, il dio del mare. Il 23enne Carlo durante la festa si accompagnò a diverse donne. I festeggiamenti si protrassero fino a notte fonda ogni giorno, e capitò pure frequentemente che alcuni soggetti ambigui, in preda all’ubriachezza, trascendessero in azioni poco lecite, anche all’interno dei reali appartamenti, cedendo all’assoluta trasgressione.
Sarebbe stato l’ultimo periodo tanti sfrenato: infatti, dopo il suo matrimonio, tutti i balli, gli spettacoli ed i festeggiamenti furono strettamente autorizzati dalla regina che seppe gestire con polso le eventuali licenze del popolo, evitando gli eccessi.
Nell’epica borbonica, i festeggiamenti del Carnevale venivano annunciati al popolo dal suono delle tofe, delle grosse conchiglie soffiando al cui interno si produce un suono cupo simile a quello delle sirene dei bastimenti). Da quel momento il popolo aveva licenza di fare baldoria e abbandonarsi a pantagrueliche scorpacciate.
A carnevale arrivava pure la tipica “vecchia ‘e carneval” – un fantoccio dalle sembianze di vecchia, con un corpo però giovane, caratterizzato da un florido seno e da una gobba sulla quale portava Pulcinella. Si presentava avvolta nel suo panno bianco, col volto celato dalla sua mascherina nera. Il pupazzo sfilava per le strade con un corteo al seguito, formato da un gruppo di giovani che, accompagnati dal semplice suono di uno zufolo, intonavano canti popolari, ricevendo una piccola offerta dagli spettatori affacciati a balconi.
Tragica invece fu la cuccagna del 1764, l’anno della carestia. La data di sabato 11 febbraio rimane della storia. Tutto pronto, cordoni di granatieri all’erta, ma il popolo era affamato e il cibo faceva troppa gola: l’assalto ai militari fu tremendo. Quando intervenne anche la cavalleria, facendo ricorso alle armi, fu una strage. La cuccagna venne perciò sospesa per diversi anni, fino al 1773, quando si preferì riorganizzata a piazza Castello, lontano dalla porta principale della reggia.
Passando all’ ‘800, ricordiamo la “cavalcata degli struzzi”, una mascherata molto ben riuscita, inventata da un gruppo di originali giovanotti: nella centralissima via Toledo furono visto avanzare, tra lo sbigottimento generale, dei giganteschi struzzi che precedevano nella rituale sfilata, i carri allegorici. Su di uno troneggiava l’onnipresente cavallo impennato, simbolo di Napoli; poi c’era quello col balconcino dal quale si affacciava una prosperosa e sorridente popolana, che lanciava di fiori agli anstanti. Di seguito, il carro propiziatorio dell’Abbondanza con l’immancabile cornucopia, il carro della Sirena, sinuosa e formosa, salutato dagli spettatori con un’ovazione, omaggio alle forme di cotanta beltà, salutata con motti pepati, rime salaci, osservazioni argute strappa-risate.
L’evento di stasera offrirà tra scherzi e risate, gustosi intermezzi e giochi, canti e balli, l’occasione per ricordare i fasti carnascialeschi dell’epoca più bella e florida che Napoli abbia vissuto, laddove questi fasti sono stati per secoli di casa.
Teresa Lucianelli

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