Caporalato a Forlì: arrestati tre marocchini. Indagati imprenditori

Con l’interrogatorio di garanzia si è conclusa una complessa attività di polizia giudiziaria che i militari del Nucleo di Polizia Economico – Finanziaria di Forlì hanno condotto eseguendo un’ordinanza applicativa di misura cautelare in carcere nei confronti di tre persone di nazionalità marocchina accusate di aver reclutato ed impiegato manodopera in condizioni di sfruttamento presso imprese agricole della provincia di Forlì-Cesena, Ravenna e Verona. Dopo le indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Forlì, che nel corso del 2017 avevano già condotto ad arresti, sequestri, condanne e rinvii a giudizio, nuovamente il territorio romagnolo è stato quindi interessato da accertamenti penali in materia di “caporalato”. Le indagini sono state avviate in seguito a segnalazioni di alcuni lavoratori alla Guardia di Finanza ed a quanto accertato in un accesso ispettivo dell’Ispettorato del lavoro nell’agosto 2017. Su questa base è stata eseguita una lunga e complessa attività investigativa dalle Fiamme Gialle che è consistita in sopralluoghi, pedinamenti ed appostamenti, intercettazioni telefoniche, accertamenti finanziari, perquisizioni e sequestri di documentazione utile per i successivi riscontri incrociati. Parallelamente, l’Ispettorato del Lavoro e l’Inail di Forlì hanno compiuto un’accurata analisi degli aspetti della vicenda sotto il profilo delle norme del lavoro.

Secondo le ricostruzioni degli inquirenti, le tre persone arrestate gestivano, anche tramite soggetti “prestanome”, diverse società cooperative con cui avevano reclutato decine di lavoratori da destinare ad imprese agricole operanti soprattutto nel settore dell’allevamento dei polli. Le condizioni a cui i lavoratori erano obbligati a soggiacere erano fortemente degradanti. Vi erano compensi orari compresi tra i 3 e i 6 euro, l’orario giornaliero poteva raggiungere le 14 ore di lavoro consecutivo anche in situazioni climatiche difficili (forte caldo d’estate e freddo invernale), senza alcun accorgimento per la tutela della salute e talvolta senza neanche fornire cibo ed acqua (anzi, ogni infortunio o malattia comportava rimproveri e penalizzazioni per il lavoratore stesso). Significative anche le condizioni abitative, in situazione di sovraffollamento (“come sardine” dice uno degli stessi indagati) ed assenza di adeguati servizi igienici (e talvolta anche di materassi per tutti): nonostante ciò, ai lavoratori era detratto, dal proprio compenso, un canone mensile sproporzionato. Tutte vessazioni venivano perpetrate nei confronti di soggetti in stato di bisogno economico e sociale. Le vittime degli abusi sono infatti persone particolarmente fragili e prive di alternative esistenziali: richiedenti protezione internazionale in attesa di risposta, stranieri irregolari, soggetti con temporanei permessi di soggiorno. Ciò era compiuto anche con l’utilizzo di minacce, tali da instaurare un forte clima intimidatorio. Oltre alla custodia cautelare in carcere per i tre artefici dell’attività organizzata di reclutamento e sfruttamento, il GIP – su richiesta del Pubblico Ministero – ha disposto il sequestro di diversi mezzi utilizzati per trasportare i lavoratori (ai fini di una successiva confisca). Inoltre, tra le persone indagate vi sono due imprenditori locali, i quali hanno già ricevuto l’informazione di garanzia e per i quali sarà valutata ogni responsabilità per l’utilizzo presso le loro aziende agricole (formalmente mediante contratti di appalto) di numerosi lavoratori reclutati e sfruttati dalle citate cooperative. Nei confronti di sei società sono stati infine notificati gli avvisi di garanzia in ordine alla responsabilità dell’impresa nella commissione del reato contestato da parte dei suoi rappresentanti.

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