Regeni, sgominata al Cairo una banda coinvolta nell’omicidio. Ritrovato il passaporto di Giulio

Cinque persone sono state uccise a Il Cairo in uno scontro a fuoco con la polizia. Secondo una fonte della sicurezza, citata da media locali, si tratterebbe di sequestratori legati all’omicidio di Giulio Regeni.  I 5 provenivano dal governatorato di Sharqiyya e da Shubra El-Khema, a nord della capitale egiziana. Secondo il ministero dell’Interno, in casa di una parente di un killer sono stati trovati il passaporto e altri documenti dell’italiano. ‘Al momento dell’arresto c’è stato uno scontro a fuoco e tutti i componenti della banda sono rimasti uccisi. La procura è stata informata dell’incidente e sono state prese misure giudiziarie’, dice la nota diffusa dal ministero dell’Interno egiziano. L’ipotesi che i cinque criminali fossero legati all’omicidio di Giulio Regeni è stata contestata, senza escluderla, dal giornale filo-governativo ‘Al-Ahwar’. Il quotidiano ha citato una fonte della sicurezza, la quale ha smentito le informazioni pubblicate da siti web che legano l’omicidio del ricercatore italiano alla banda specializzata nel sequestro e rapina di stranieri. La Procura di Giza ha fatto sapere che allargherà la cerchia dei sospettati sul caso dell’uccisione del 28enne friulano interrogando tutti e li incriminerà se le inchieste dimostreranno che proteggevano i criminali o che sono implicati nell’omicidio. Le indagini avrebbero dimostrato la pista dell’omicidio volontario e il ministero dell’Interno egiziano precisa che i documenti di Giulio Regeni sono stati trovati nella casa di una sorella di uno dei banditi uccisi. La residenza, nel governatorato di Qalyubiyya, nel delta del Nilo, a nord de Il Cairo, della sorella del principale accusato, che si chiama Rasha Saad Abdel Fatah, 34 anni, è stata presa di mira perché le indagini hanno dimostrato che Regeni andava da lei di tanto in tanto. Il comunicato del ministero riferisce che i servizi di sicurezza hanno trovato nell’appartamento un `handbag´ rosso sul quale è stampata la bandiera italiana e all’interno c’è un portadocumenti di colore marrone nel quale si trova il passaporto recante il nome di Giulio Regeni, nato nel 1988, il suo documento di riconoscimento (ID) dell’università americana con la sua foto sulla quale c’è scritto in lingua inglese `assistente ricercatore´, il suo documento di Cambridge, la sua carta di credito Visa e due telefoni portatili. I servizi di sicurezza hanno trovato anche un portafogli femminile con la parola `love´ nel quale si trovano 5 mila Sterline egiziane, un pezzetto di materiale scuro che potrebbero essere 15 grammi di cannabis, un orologio. La banda è formata da Tarek Saad Abdel Fatah 52 anni, che abitava a Sharqiyya, governatorato del Basso Egitto, e in un altro luogo di residenza a Qalyubiyya, sempre nel Delta del Nilo, accusato in 24 procedimenti diversi e condannato a quattro anni di reclusione. Suo figlio Saad Tarek Saad, 26 anni, Moustafa Bakr Awad, 60 anni, accusato in 20 procedimenti, Salah Ali Sayed, 40 anni, sotto accusa in 11 processi. Nel minibus colpito nello scontro con la polizia al Cairo, i servizi di sicurezza hanno rinvenuto il corpo di una persona sconosciuta sulla trentina uccisa da un colpo di arma da fuoco. Gli investigatori italiani presenti in Egitto sono stati informati dalla polizia egiziana dell’uccisione dei membri della banda ma al termine dell’incontro hanno espresso forti dubbi sulla veridicità di questa versione e attendono l’esito di ulteriori indagini. Gli interrogativi sono chiari: ‘Perché se lo scopo del rapimento fosse un furto il giovane è stato seviziato per dieci giorni? E ancora, perché conservarne in casa i documenti di identità?’.
I pm di piazzale Clodio attendono ora comunicazioni ufficiali da parte della magistratura del Cairo in base anche alla collaborazione suggellata con l’incontro di una settimana fa tra il procuratore capo Giuseppe Pignatone e il procuratore generale della Repubblica araba d’Egitto, Nabil Ahmed Sadek.
Dopo le dichiarazioni di disponibilità da parte del governo del Cairo e l’avvio della collaborazione tra magistrati egiziani e procura di Roma, l’interpretazione fornita sul blitz sembra riportare l’inchiesta indietro ai primi giorni, quando le autorità spingevano verso la pista della criminalità, mentre tutti gli indizi e le testimonianze parevano portare verso un coinvolgimento degli apparati di sicurezza e d’intelligence egiziani. Soprattutto quando le autopsie avevano rivelato che il ricercatore veneto era stato ucciso dopo esser stato sottoposto a torture di ogni genere. Il sito dell’autorevole quotidiano filo-governativo egiziano ‘Al-Ahram’, come si diceva, pur senza escluderla, ha invece frenato sull’ipotesi che i criminali uccisi alla periferia ovest del Cairo siano legati all’omicidio di Regeni. Le contraddizioni sui media egiziani sembrano rispecchiare l’esistenza di divisioni all’interno degli apparati di intelligence. Le notizie, che giungono dopo numerosi depistaggi e sono state accolte subito con grande scetticismo sui social media in Egitto, si accompagnano ad un comunicato del ministero dell’Interno del Cairo pubblicato su Facebook, che però non cita direttamente il caso Regeni.

Cocis

 

 

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