Parlamento europeo approva direttiva case green: ‘Case svalutate fino al 40%’

Il Parlamento Europeo ha adottato a Strasburgo la direttiva sulla prestazione energetica degli edifici, meglio conosciuta come direttiva sulle case green: con 370 voti favorevoli, 199 contrari e 46 astensioni.  Ecr ha votato contro,   spiegano Nicola Procaccini e il capodelegazione di Fratelli d’Italia a Bruxelles Carlo Fidanza,  a nome della delegazione di Fdi: “Abbiamo espresso voto contrario in merito agli ultimi provvedimenti del Green Deal: una gabbia ideologica che porta la firma del commissario Timmermans e mette a rischio interi settori economici europei. Nonostante gli importanti miglioramenti apportati grazie all’impegno del governo italiano in sede di Consiglio Ue, provvedimenti come quelli sulle case green, sulle emissioni industriali che equiparano le stalle alle fabbriche e sulle asserzioni ambientali (green claims), rimangono ancora troppo sbilanciati. E per questa ragione abbiamo espresso il nostro voto contrario. I cittadini europei   con il voto dell’8 e 9 giugno, avranno la grande opportunità di porre fine a questa follia ideologica green e riportare buon senso e pragmatismo nelle politiche a favore dell’ambiente”.

I partiti del centrodestra italiano hanno votato per lo più contro la direttiva: compatti Fdi e Lega, mentre la delegazione italiana del Ppe in maggioranza si è espressa contro, tranne la vice capodelegazione Alessandra Mussolini e Herbert Dorfmann della Sudtiroler Volkspartei, che hanno votato a favore. Favorevoli M5S (Non Iscritti), Pd (S&D), Italia Viva (Renew) e i tre italiani dei Verdi/Ale (Rosa D’Amato, Piernicola Pedicini, Ignazio Corrao). Tra i contrari anche Fabio Massimo Castaldo (Azione). La direttiva è passata con ampio margine grazie ai voti di buona parte del Ppe, di Renew, della quasi totalità di S&D e Sinistra e della totalità dei Verdi/Ale. Contrari l’Ecr, Identità e Democrazia, una cinquantina di Popolari e una minoranza di Renew.

Gli Stati membri avranno due anni di tempo per adeguarsi alla direttiva e presentare all’Ue un piano nazionale di ristrutturazione, in cui dovranno spiegare come intendono raggiungere gli obiettivi fissati dalla normativa Ue e attraverso quali tappe. Secondo la nuova normativa, tutti gli edifici di nuova costruzione dovranno essere a emissioni zero, a partire dal 2030. Inoltre, gli edifici nuovi occupati o di proprietà delle autorità pubbliche dovranno essere a emissioni zero a partire dal 2028. Gli Stati membri potranno tenere conto, nel calcolare le emissioni, del potenziale impatto sul riscaldamento globale del corso del ciclo di vita di un edificio, inclusi la produzione e lo smaltimento dei prodotti da costruzione utilizzati per realizzarlo. Per gli edifici residenziali, i Paesi membri dovranno adottare misure per garantire una riduzione dell’energia primaria media utilizzata di almeno il 16% entro il 2030, rispetto al 2020, e di almeno il 20-22% entro il 2035, sempre rispetto al 2020.

A partire dal 2025, sarà vietata la concessione di sovvenzioni alle caldaie autonome a combustibili fossili. Saranno ancora possibili incentivi finanziari per i sistemi di riscaldamento che usano una quantità significativa di energia rinnovabile: come quelli che combinano una caldaia con un impianto solare termico o una pompa di calore. La nuova normativa, eccezione rilevante per un Paese come l’Italia, non si applica agli edifici agricoli e agli edifici storici. E i Paesi membri possono decidere di escludere anche gli edifici protetti per il particolare valore architettonico o storico, gli edifici temporanei, le chiese e i luoghi di culto.

Una delle principali novità del testo riveduto grazie alle richieste avanzate dal centrodestra italiano riguarda  il maggiore margine di agibilità attribuito ai singoli Stati. In un primo momento, l’ipotesi era stata infatti quella di indicare dei requisiti stringenti per i singoli edifici, non lasciando spazio ai Paesi membri per fissare degli specifici obiettivi in base alle peculiarità nazionali. Grazie alle richieste di rivedere questo aspetto, la versione definitiva del testo stabilisce che i singoli Paesi dovranno definire dei piani per la riduzione dei consumi del loro patrimonio edilizio residenziale. Se tecnicamente ed economicamente fattibile, i Paesi membri dovranno garantire l’installazione progressiva di impianti solari negli edifici pubblici e non residenziali, in funzione delle loro dimensioni, e in tutti i nuovi edifici residenziali entro il 2030. Gli Stati membri dovranno spiegare come intendono predisporre misure vincolanti per decarbonizzare i sistemi di riscaldamento eliminando, gradualmente, i combustibili fossili nel riscaldamento e nel raffreddamento entro il 2040.

Per diventare legge, la direttiva dovrà ora essere approvata formalmente anche dal Consiglio dei ministri. Secondo la Commissione, gli edifici dell’Ue sono responsabili del 40% dei consumi energetici e del 36% delle emissioni climalteranti. Ennesima follia europea, dice Salvini: “Erano già state fermate alcune delle eco-follie volute dai burocrati, ma non è bastato. La nostra battaglia continua: serve un cambio di rotta per rivedere la direttiva, mandando a casa le sinistre e portando a Bruxelles una nuova maggioranza di centrodestra. L’8 e il 9 giugno”, come già segnalato da Ecr. La direttiva “rimane un testo dagli obiettivi finali ben difficilmente realizzabili (emissioni zero nel 2050), che la nuova legislatura europea farebbe bene a ripensare”. Ad affermarlo in una nota è Giorgio Spaziani Testa, il presidente Confedilizia, che ha parlato di direttiva «migliorata ma irrealistica» nei suoi obiettivi finali, con particolare riferimento al nostro contesto. Su circa 12 milioni di edifici residenziali, l’Italia dovrà infatti intervenire su 5milioni di immobili ritenuti «energivori» in base ai nuovi parametri. L’operazione avrà costi importanti destinati a gravare sulle tasche dei cittadini: secondo alcune stime, ogni famiglia dovrà sborsare da 20 a 55 mila euro. Il fatto che il patrimonio immobiliare italico sia prevalentemente costituito da case di vecchia data, poi, non aiuta. «Questa è una problematica. L’Italia subirà un impatto ben maggiore rispetto ad altri Paesi quali la Danimarca, dove c’è un tessuto urbano differente», spiega Federico Filippo Oriana, presidente nazionale dell’Aspesi (Associazione Nazionale tra le Società di Promozione e Sviluppo Immobiliare).

Ulteriori criticità riguardano il fatto che la folle corsa al green deprezzerà in modo significativo le abitazioni ritenute poco ecologiche, anche perché – osserva Oriana – «la ristrutturazione non porterà mai a un livello di efficientamento energetico pari a quello degli edifici nuovi». E l’eco-beffa è servita: «La svalutazione potrebbe essere tra il 30 e il 40 per cento», stima il presidente dell’Aspesi, ma la percentuale potrebbe anche aumentare sensibilmente. L’unica magra consolazione è che, con la prima versione della direttiva green, questo fenomeno sarebbe stato addirittura peggiore. «La proprietà immobiliare che per vari motivi non si riusciva a rinnovare non sarebbe stata più vendibile. Lo abbiamo evitato», annota Oriana, secondo il quale la transizione energetica è ormai inevitabile, ma va affrontata con realismo. Se assecondassimo le linee oltranziste del Green Deal caro alla sinistra europea, infatti, «dovremmo sostenere un costo pari al debito pubblico italiano e mancherebbero le risorse»

«Speriamo che la nuova maggioranza dell’Europarlamento non esprima più un approccio ideologico. Finora la demagogia ha messo a rischio due settori, quello delle auto e quello edilizio, molto importanti per il nostro Paese», conclude Oriana. Ok la tutela dell’ambiente, ma a una condizione: «Come Italia vogliamo sopravvivere».

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