Indottrinamento e libri Lgbtqia per i bambini

Alla libreria Feltrinelli di piazza Piemonte, a Milano, c’è un’intera parete denominata Wunderkammer, come “stanza dei desideri”. Lo racconta il Giornale che osserva come «sugli scaffali di questa nicchia privilegiata troviamo oggi decine di titoli dedicati a un tema di moda, la presunta normalità di essere LGBTQIA, questa sigla che ormai si estende a tutte le sfumature arcobaleno della sessualità, basta che non sia etero. Un insieme che contiene un vasto sottoinsieme, proposto ai visitatori degli scaffali in periodo di rifornimento pre-vacanziero: quello per ragazzi, e soprattutto per bambini».

Si comincia, scrive il Giornale, da un piccolo/grande classico, quel Piccolo uovo di Francesca Pardi, illustrato da Altan (ed. Lo Stampatello, 2011), «dove un protagonista asessuato incontra tutte le combinazioni di famiglie bi- e omogenitoriali, decidendo che l’una vale l’altra. Di fianco, una ghiotta occasione per mettere il figlio in età prescolare alla pari con la vulgata corrente: come favola della buona notte, si può leggere al proprio figlio quattrenne La bambola di Luca (ed. Nube Ocho, 2021), storia di questo bambino che va pazzo per una bambola, finché arriva il solito bullo e gliela deturpa. Ma il bullo fra l’altro è un bambino di colore, e nessuno vuole che un bambino di colore sia anche ostile alle teorie gender fluid. Perciò egli si pente e si riscatta e diventa buonissimo, cioè gioca con le bambole anche lui».

Poi, scrive ancora il Giornale,  «…I due papà di Fiammetta, di Émilie Chazerand e Gaëlle Souppart (ed. La Margherita, 2019), dove i soliti bulli prendono in giro la bambina e lei invece li convince di quanto è fortunata, mentre la sua amica che ha invece due genitori biologici è disperata perché divorziano». E poi ancora: «O, pensando ai ragazzi più grandicelli, Le semplici cose di Massimiliano De Giovanni e Andrea Accardi (Feltrinelli Comics, 2019), una graphic novel su quanto sia appropriato, per due maschi quarantenni, servirsi di un utero per conto terzi». E poi tanto altro ancora.

Sul nostro giornale abbiamo parlato di Neviana Calzolari, scrittrice trans criticata ferocemente perché contesta il ddl Zan, parlando anche dell’indottrinamento dei bambini e del ‘regime gender’.  Il giornalista Francesco Borgonovo de La Verità la ha intervistato Neviana Calzolari, trans «Male to Female». Sociologa e scrittrice recentemente ha espresso le sue idee su MicroMega, rilasciando dichiarazioni che La Verità ha ripreso. Subito dopo, Neviana è stata oggetto di attacchi feroci. «Controllando le notifiche su Facebook, mi sono imbattuta in un post di Antonia Monopoli, che fa parte di un’associazione trans milanese», racconta. «Nel suo post mostrava solo alcune righe dell’articolo della Verità in cui appariva il mio nome e commentava: “Ecco un’attivista trans che si è bevuta il cervello”. In quel post non veniva riportato nulla dell’articolo, non venivano citate le mie parole». E poi ancora: «Veniva dato per scontato che, essendo stata citata in un articolo della Verità, mi fossi fatta strumentalizzare dalla destra, che fossi una fascista». Poi sono arrivati altri commenti…«Me ne hanno dette molte: fascista, kapò… Quel primo post è stato una sorta di chiamata alle armi affinché iniziasse una pressione intimidatoria nei miei confronti…».

Poi spiega: «Il problema del movimento Lgbtq e delle persone che dicono di rappresentarlo solo perché sono a capo di associazioni è che alla fine si pongono sempre in modo estremamente aggressivo e verbalmente violento nei confronti di chi esprime delle posizioni divergenti dal manistream del movimento. Cercano di intimidirti, e se reagisci ribaltano la frittata». «Ti accusano di avere un atteggiamento aggressivo, mentre gli aggressivi sono loro». E racconta ancora al giornalista de La Verità.  «Ma la cosa più ridicola è questa: nel vostro articolo, avete citato delle frasi che ho detto a MicroMega. Ebbene, poiché MicroMega è un santuario della sinistra, l’articolo uscito lì non ha suscitato reazioni, nessuno mi ha criticato. Ma non appena le stesse parole sono state riportate sulla Verità è successo il finimondo».

Ddl Zan, il “muro contro muro” è solo apparente: nella maggioranza la trattativa è aperta. Chi mi segue ha segnalato i post aggressivi. Ciò dimostra la profonda malafede di certe persone, che non si danno nemmeno la pena di leggere e documentarsi. Però è accaduto anche qualcosa di inaspettato. Io non faccio più parte di associazioni, quando prendo posizione pubblicamente lo faccio a titolo personale. Ma sui social dopo gli attacchi ho ricevuto un grande sostegno. Chi mi segue ha iniziato a segnalare i post aggressivi nei miei confronti, e alla fine Facebook li ha rimossi. I miei accusatori non avevano previsto che accadesse una cosa simile.

La sociologa spiega inoltre che a far scatenare gli attacchi è stato «ciò che ho detto sui bloccanti della pubertà…». «…Secondo me il vero problema è il concetto di identità di genere. Sesso e genere sono cose diverse. La transessualità ha a che fare con il sesso, mentre i fautori dell’identità di genere sostanzialmente dicono che le persone transessuali rientrino nell’ombrello transgender. Io però non sono dentro questo ombrello. La transessualità ha a che fare con una spinta forte, insopprimibile a lungo andare, a cambiare le caratteristiche del proprio corpo a favore del sesso di elezione». Il giornalista de La Verità osserva che chi sostiene il ddl Zan dice che nel progetto di legge non si parla di bloccanti della pubertà o di cambio di sesso dei minori. «È un’ipocrisia. Questo è il segreto di Pulcinella. È chiaro che il concetto di identità di genere è stato introdotto come caposaldo perché si vuole puntare proprio a questo: a rendere indistinguibili, come se si trattasse di cose intercambiabili, transizione di sesso e genere».

«Il ddl Zan è un’arma di distrazione di massa»

Lei è molto critica verso il ddl Zan. Perché? «Per tanti motivi. Mi dica: perché mai il genere, che ha che fare con il vissuto e la percezione, dovrebbe avere rilevanza pubblica e legale? Cercare di ancorare ipotesi di reato penale a vissuti soggettivi ci porterebbe al caos più completo. Altro che certezza del diritto: ogni giudice andrebbe a ruota libera. E poi, così come è scritto, il ddl Zan è un’arma di distrazione di massa dai veri problemi dei transessuali. Il vero problema è che c’è un sistema di aiuti e assistenza socio sanitaria che fa pena, che è inadeguato rispetto alla creazione di un benessere personale e una vera integrazione sociale. Ma le associazioni trans e il movimento Lgbtq hanno interesse a rimuovere questi problemi – che sono prioritari per la salute delle persone – e preferiscono concentrarsi su aspetti repressivi di carattere penale. Funziona così: poiché non sono in grado di garantire alle persone trans assistenza e benessere, queste ultime sono spesso frustrate e insoddisfatte. E allora le associazioni dicono: la responsabilità non è nostra, o dello Stato, ma del mondo infame che non riconosce le soggettività trans. In realtà credo che gli attivisti che mi attaccano abbiano paura di affrontare i temi che metto sul piatto. Ad esempio quello che non va nei consultori per le persone trans, su cui le associazioni mettono la bandierina politica».

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