La crisi fa impennare il lavoro nero e dimezza i salari. È quanto emerge dal focus Censis-Confcooperative sul lavoro nero. Tra il 2012 e il 2015 l’occupazione regolare è scesa del 2,1%, mentre quella irregolare è salita del 6,3%, portando a oltre 3,3 milioni i lavoratori che vivono in un cono d’ombra non monitorato.
Il salario medio orario sostenuto dalle imprese per retribuire un lavoratore regolare dipendente è di 16 euro mentre il salario pagato dalle aziende per un lavoratore irregolare corrisponde a 8,1 euro cioè circa la metà del salario orario lordo del lavoratore regolare. Il cosiddetto monte salariale irregolare nel 2014 ha raggiunto i 28 miliardi di euro, pari al 6,1% del valore complessivo delle retribuzioni lorde.
In pratica la metà delle persone rimaste senza lavoro a causa della crisi sono stati risucchiati nell’illegalità. Mentre tra il 2012 e il 2015 nell’economia regolare venivano cancellati 462 mila posti di lavoro (260mila riconducibili a lavoro svolto alle dipendenze e 202mila nell’ambito del lavoro indipendente), la schiera di chi era occupato illegalmente è salita di 200 mila unità, arrivando a superare quota 3,3 milioni.
All’espansione del lavoro “non normato” ha contribuito in maniera prevalente l’occupazione dipendente (+7,4%), mentre sul fronte dell’occupazione regolare è la componente indipendente che, in termini relativi, ha subito un maggiore ridimensionamento (-3,7%).
Sul piano territoriale, e riguardo all’incidenza del lavoro irregolare sul valore aggiunto regionale, Calabria e Campania registrano le percentuali più alte (rispettivamente il 9,9% e l’8,8%), seguite da Sicilia (8,1%), Puglia (7,6%), Sardegna e Molise (entrambe con il 7%).