Istat e declino demografico ed economico

 Un Paese dove si nasce sempre di meno, si invecchia sempre di più ma senza ricevere l’assistenza adeguata, il rapporto Istat di quest’anno non vuole consegnarci una condizione di ineluttabile declino del Paese: in realtà per imprimere una svolta diversa all’andamento demografico e al suo potente impatto sull’economia basterebbe mettere in condizione di lavorare quegli 1,7 milioni di Neet (giovani che non studiano e non lavorano) che rappresentano da anni il nostro record negativo in Europa

Le statistiche parlano chiaro, nella fascia di età tra i 2.5 e i 49 anni lavora l’80,7% delle donne che vivono da sole, il 74,9% di quelle che vivono con un partner ma non hanno figli, solo il 58,3% di quelle che hanno figli. E naturalmente al Sud i dati sono anche peggiori.

Il lavoro, e lo sviluppo, possono essere l’unica via per tornare a crescita visto che per invertire il trend della natalità ci vorranno anni: le 27 mila nascite in meno del 2022 che ci hanno fatto toccare il record storico negativo, spiega l’Istat, sono dovute per l’80% alla diminuzione delle donne tra i 15 e i 49 anni e solo per il 20% al calo della fecondità. Nascono meno bambini, insomma, soprattutto perché 30 anni fa sono nati meno genitori.

E quindi la vera sfida è mettere adesso i potenziali genitori in grado di mettere al mondo più figli. Una scelta personale, certo. Ma in realtà legata a condizioni oggettive, a cominciare da un lavoro con un salario adeguato. Un lavoro, innanzitutto: il nostro tasso di occupazione, rimane fanalino di coda in Europa, nonostante abbia finalmente superato il 60%. E’ avvenuto però soprattutto per gli effetti dell’innalzamento dell’età pensionabile piuttosto che per l’aumento del lavoro giovanile. Rispetto al 2004, nel 2022 in Italia gli occupati di 15 anni e più sono cresciuti di 784 mila unità, un andamento che è la somma di un aumento di 435 mila occupati nella classe d’età 15-64 anni e 349 mila dai 65 anni in su.

Nel 2022, nonostante i miglioramenti, i tassi di partecipazione e di occupazione della fascia di popolazione tra i 25 e i 64 anni in Italia sono di circa 9 punti percentuali inferiori rispetto alla media europea e di oltre 14 punti rispetto alla Germania. Raggiungere i tassi di occupazione attuali dell’Ue27, spiega l’Istat, ci permetterebbe nel 2041 a ridurre di oltre due terzi (da 3,6 a 1,1 milioni) la perdita di occupazione che si avrebbe a tassi invariati per via della riduzione delle nascite. Se si colmasse il divario (pari a ben 18 punti percentuali) nella fascia 20-24 anni, si otterrebbe un recupero di ulteriori 240 mila occupati. Insomma, basterebbe portare a lavorare donne e giovani come nel resto dell’Europa per annullare gli effetti del declino demografico.

E c’è anche un problema di salari, e di stabilità, anche questo incide sulla possibilità di avere una famiglia e mettere al mondo dei figli. In Italia la scarsa produttività continua a spingere i salari verso il basso: “per difendere il vantaggio competitivo di prezzo, – si legge nel Rapporto Istat – è prioritario per le imprese mantenere una crescita salariale moderata”. Negli ultimi dieci anni in Italia “la crescita nominale dei costi medi del personale è stata inferiore a quella nominale della produttività, tanto per il totale delle imprese, quanto per il settore manifatturiero”. Mentre in Francia, Spagna e, soprattutto in Germania, i salari nominali hanno registrato una crescita superiore a quella della produttività.

I lavoratori italiani guadagnano circa 3.700 euro l’anno in meno della media dei colleghi europei e oltre 8 mila euro in meno della media di quelli tedeschi. La retribuzione media annua lorda per dipendente è pari a quasi 27 mila euro, inferiore del 12% a quella media Ue e del 23% a quella tedesca, nel 2021, a parità di potere d’acquisto. Tra il 2013 e il 2022, la crescita totale delle retribuzioni lorde annue per dipendente in Italia è stata del 12%, circa la metà della media europea. Il potere di acquisto delle retribuzioni, negli stessi anni, è sceso del 2% (il 2,5% rispetto agli altri paesi)

In una condizione generale di lavoro povero, i giovani risultano la fascia della popolazione più maltrattata, nonostante continuino a ridursi. Nella fascia di età 30-34, per la quale si possono considerare conclusi gli studi, il 12,1% degli individui dichiara di non aver mai lavorato (7 per cento tra i laureati e 21,4% tra chi possiede al massimo la licenza media).

Inoltre nel 2022 quasi un giovane su due, il 47,7% della fascia tra i 18 e i 34 anni, mostra almeno un segno di deprivazione nei parametri considerati, che considerano istruzione e lavoro, coesione sociale, salute, benessere soggettivo e territorio. Oltre 1,6 milioni di giovani mostrano almeno un doppio segnale di deprivazione.

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