In Europa e in Italia c’è il rischio stagflazione, cioè bassa crescita e alta inflazione. Prima della pandemia in tutti i Paesi si invocava un’inflazione almeno al 2%, come tetto ottimale per l’andamento dell’economia, mentre adesso siamo terrorizzati dall’attuale 7%: una cifra che ci riporta agli anni ’90.” Lo dichiara Cesare Damiano, già ministro del Lavoro e consigliere Inail. “A pagare il prezzo – continua – accanto alle imprese e al lavoro autonomo che combattono contro i rincari e la scarsità delle materie prime, sono i lavoratori dipendenti e i pensionati che vedranno diminuire ulteriormente il loro potere d’acquisto, già colpito negli ultimi anni. Che cosa fare? Innanzitutto occorre rinnovare i contratti di lavoro ormai scaduti e rivedere il meccanismo di adeguamento dei salari all’inflazione. Il meccanismo si chiama IPCA (Indice dei Prezzi al Consumo Armonizzato) che non pare più adatto per l’attuale situazione, soprattutto perché esclude dal paniere i beni energetici. Al fine di non gravare totalmente le imprese dell’aumento dei salari derivante dall’inflazione, il Governo dovrebbe anche detassare gli aumenti retributivi che verranno concordati nel rinnovo dei contratti, analogamente con quanto avviene con il premio di risultato. In questo modo il costo di questi aumenti non varierebbe di molto per le imprese e i lavoratori avrebbero il vantaggio di vedere aumentato il netto in busta paga.” “È noto che a un costo del lavoro per l’impresa di 100 euro corrisponde un netto in busta paga inferiore a 50. Se quel netto diventasse, ad esempio, di 70 euro ci sarebbe un vantaggio per tutti e si darebbe una mano al raffreddamento dell’inflazione”.
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