Mondo della destra e partita quirinalizia

Luigi Di Maio ospite a Porta a Porta da Bruno Vespa parla del suo libro ‘Un amore chiamato politica’, informa il pubblico che Giorgia Meloni e Matteo Salvini prendono in giro il Cavaliere facendogli intravedere la Presidenza della Repubblica. Il top lo raggiunge informando che Silvio Berlusconi lo chiamò a voce alta per complimentarsi con lui per le scelte politiche fatte ed altro. Lui, Di Maio, ritornò indietro per stringergli la mano per pura e semplice educazione. Ovvio, a Luigi Di Maio non manca niente per essere lontanamente paragonabile a Silvio Berlusconi. Modo di esprimersi del ministro degli esteri assolutamente censurabile.

Passiamo ad altro, ovvero dal fatto che, secondo sinistrorsi commentatori la destra non conta nulla, e da anni, nell’elezione del Capo dello Stato. Solo una volta,  nel 1971,  al ventiduesimo scrutinio un pezzo di Msi passò sottobanco i suoi voti a Giovanni Leone, capofila dei conservatori democristiani. Fu il Presidente meno votato della nostra storia, 518 voti appena, il 51,4 per cento, dopo la serie di scrutini più lunga in assoluto, e pure l’unico obbligato alle dimissioni con due anni di anticipo sul fine mandato. Nella  partita quirinalizia la destra neanche prova a toccare palla.

Il Centrodestra nei  suoi 26 anni di vita ha visto entrare e uscire quattro Presidenti ma persino quando, nel 1999, trovò l’accordo bipartisan sul nome di Carlo Azeglio Ciampi, non riuscì a tenere allineate le truppe. La Lega preferì scrivere sulla scheda il nome del suo capogruppo al Senato e un sacco di altri voti se ne andarono in giro con scelte fantasia: Silvio Berlusconi, ovviamente, ma anche Giuliano Amato, Massimo Moratti, Carlo Rossella, Pino Rauti, Roberto Maroni. Tra i 180 voti che mancarono a Ciampi rispetto all’accordo politico preso ufficialmente, più della metà era targato Centrodestra.

Di Sergio Mattarella, Giorgia Meloni chiese addirittura l’impeachment, mentre Matteo Salvini ripeté più volte: «Non mi rappresenta». Cinque lustri di invettive e sospetti sul Quirinale. 

Ora, per il centrodestra  i numeri parlamentari le consentono di orientare il gioco per la  platea di  Silvio Berlusconi, fondatore della coalizione.

Molti si concentrano, per converso, sulla incapacità delle destre di proporre uno schema di intesa repubblicana che parta dal seggio più alto della Repubblica, farsene protagonista e usare la loro forza parlamentare.  

Ovviamente, e ritorniamo a Di Maio, nessuno dei tre soci del Centrodestra hanno il coraggio necessario  per uscire dallo schema ‘votiamo Berlusconi e poi si vede’.  Quello del ‘poi si vede’ vuol dire accettare lo  ‘schema Leone’, perchè mancherà nel caso l’allineamento delle truppe. Naturalmente le doti di veggente del Di Maio assicurano che andrà sicuramente in questo modo…

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