Foto LaPresse12/10/12 PPremio Nobel per la pace assegnato all'Unione Europea

Nuovi amici!

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da James Hansen il seguente articolo:

 

 

Avendo risolto i problemi più urgenti, l’Unione Europea ha deciso in questi giorni di riprendere la sua ulteriore espansione geografica, confermando la prossima apertura di negoziati con l’Albania e la Macedonia del Nord finalizzati alla loro accessione all’Ue.

Secondo la Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, il passo “segna l’inizio del viaggio verso un’Unione più grande e più forte”. Olivér Várhelyi, il Commissario europeo per l’allargamento e la politica di vicinato, ha aggiunto con un tweet: “Manda un chiaro messaggio anche agli altri paesi dei Balcani occidentali: il vostro futuro è nella Ue!” Várhelyi
si riferisce alla Serbia e al Montenegro, anche loro candidati per l’accessione all’Unione.

Oltre all’apertura dei negoziati, l’Albania e la Macedonia del Nord riceveranno rispettivamente 50 e 70 milioni di euro in aiuti Ue per combattere la crisi coronavirus. Altri 90 milioni alla Serbia sono stati ricevuti con malagrazia dal Presidente di quel paese, Aleksandar Vučić, che ha criticato l’obolo come insufficiente, dichiarando che “la solidarietà europea non esiste” e facendosi fotografare mentre baciava la bandiera cinese in segno di gratitudine per un’offerta migliore…

Il caso serbo svela una parte della motivazione Ue nel riprendere in mano un discorso né popolare né— almeno a prima vista—particolarmente urgente in un momento in cui il Continente è alle prese con una grave epidemia e con i suoi riflessi economici. Bruxelles sente come pressante la necessita di contrastare l’influenza di altri—Cina, Russia e Turchia—in una zona che considera “l’uscio di casa”. Michael Roth, il Segretario di Stato tedesco per gli affari europei, ha spiegato: “Se lasciamo un vuoto politico nei Balcani occidentali, allora altri che non condividono i nostri valori tenteranno di riempirlo”.
L’espansione balcanica tende inoltre ad offuscare la non brillante conclusione per la Ue dell’affare

Brexit, dimostrando che pure senza il Regno Unito l’Unione è ancora in grado di crescere e di agire. La motivazione non è secondaria in quella parte dell’apparato comunitario che si riconosce nell’ambizione espressa da Sandro Gozi—responsabile per i rapporti con l’Ue dei governi Renzi e Gentiloni, poi passato al servizio della Francia—quando, nel 2014, ha descritto l’Unione come: “…una democrazia da estendere prima a livello europeo e poi globale”…

Nei fatti, la decisione di procedere con l’accessione dei due stati balcanici all’Ue era già stata promessa per l’anno scorso. Sembrava ormai tutto pronto nell’ottobre del 2019 quando Emanuel Macron ha deciso all’ultimo istante che non s’aveva da fare, ponendo il veto francese all’ingresso nell’Unione della Macedonia del Nord. Il paese, ufficialmente denominato fino a poco prima con l’imbarazzante acronimo di “FYROM”—per “Former Yugoslav Republic of Macedonia”—aveva pure cambiato nome per superare il veto greco alla sua entrata nell’Unione, essendo i greci (appoggiati dai francesi) convinti che la “vera” Macedonia potesse essere solo greca. All’epoca, l’inaspettata alzata di cresta di Macron ha causato grande imbarazzo. L’allora Presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, l’ha descritta come un “errore storico” e il Presidente del Consiglio europeo, il polacco Donald Tusk, ha detto di esserne “profondamente imbarazzato”. Forse andrà meglio questa volta.

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