Meloni firma il patto con la Calabria: il piano del governo dopo decenni di sprechi, clientele e aiuti di Stato

Per capire la portata dell’accordo siglato oggi in Calabria da Giorgia Meloni con il presidente Roberto Occhiuto bisognerebbe tornare ai tempi della Cassa per il Mezzogiorno che, pur tra sprechi e clientele, fu l’unica azione capace di promuovere infrastrutture nella regione più povera.

Oppure ricordare quanto fecero i governi Monti e Gentiloni, che si ripresero fette importanti dei soldi europei per destinarli ad altre cose. Quella Calabria che ha avuto grandissimi uomini politici, da Giacomo Mancini, il più amato, a Riccardo Misasi e Dario Antoniozzi, e che aveva uno spessore non indifferente nello scacchiere politico nazionale.

Giorgia Meloni porta in dote 2,6 miliardi di euro. Un intervento strategico che consentirà di intervenire sul dissesto idrogeologico, sul settore idrico, sull’ambiente e sui beni culturali.

Si tratta della somma più alta mai ricevuta dalla Calabria sui fondi strutturali e questo in un quadro che comprende una serie di interventi collaterali che è opportuno ricordare: il Ponte sullo Stretto, l’alta velocità che chiuderà il raccordo Salerno – Reggio Calabria, il completamento delle tratte autostradali che Matteo Renzi imprudentemente aveva inaugurato come opera finita ai tempi in cui era a Palazzo Chigi.

Un’iniezione di speranza e di concretezza per il Sud. Finanziamenti virtuosi sui progetti ‘veri’, lotta gli sprechi all’insegna della responsabilizzazione. Dal Porto di Gioia Tauro per la firma dell’Accordo per lo Sviluppo con il governatore della Calabria, Roberto Occhiuto, la premier Giorgia Meloni riassume il cambio di rotta dell’esecutivo. Che significa utilizzare i fondi mai spesi prima, credere e investire nel potenziale dato “dal coraggio, dall’operosità e dalla forza del Sud per metterlo in condizioni di lavorare ad armi pari”.

L’accordo porterà alla Regione Calabria 2,2 miliardi di euro. Il Fondo prevede finanziamenti legati alla riqualifica delle infrastrutture, all’idrico, alla cultura ed al dissesto idrogeologico. Oltre 300 milioni saranno destinati alla realizzazione del Ponte sullo Stretto, il cui progetto è stato approvato. Una grande opera sulla quale si è scatenato per anni il disfattismo della sinistra e il plotone d’esecuzione degli ambientalisti rigoristi blocca-tutto. “Impossibile. Il Ponte sullo stretto non si farà mai”, ha ricordato Meloni, “io penso che ‘impossibile’ lo dica chi non ha il coraggio o la voglia di lavorare”.  La scelta del luogo della cerimonia della firma non è casuale. “Si tratta di un posto simbolicamente rilevante – sottolinea il governatore – Gioia Tauro è il primo porto italiano, tra i più importanti porti nel Mediterraneo. Il decreto Sud riorganizza i fondi di coesione e istituisce questi accordi che hanno alcune particolarità. La prima è che i progetti finanziati sono proposti dalla regione e condivisi dal governo nazionale. Questo ha fatto arrabbiare qualcuno – aggiunge – ma noi non vogliamo limitare l’autonomia dei territori. Ma fare in modo che queste risorse vengano inserite in una strategia. In questo quadro ben venga la riforma dell’autonomia differenziata, bersaglio polemico di una sinistra ideologica a caccia di scandali. Nessuna legge spacca-Italia, chiarisce la premier che rispedisce al mittente gli attacchi di Elly Schlein sui ‘patrioti che tradiscono il Mezzogiorno’. A chi mi accusa di dividere l’Italia vorrei dire che l’Italia è stata divisa da chi credeva che ci fossero cittadini di serie A e di serie B”. Io penso che ci siano due modi per affrontare il divario: c’è il reddito di cittadinanza e ci sono le infrastrutture di cittadinanza. Io sono patriota e penso di colmare le distanze tra Nord e Sud con risposte meno facili. Il reddito “per sconfiggere la povertà” dei grillini è la ricetta di chi pensa che il Meridione sia irrecuperabile.  I governatori si stanno dimostrando tutti collaborativi, tranne uno. Se invece di fare le manifestazioni ci si mettesse a lavorare, forse si potrebbe ottenere qualche risultato in più”. Parole  dirette a Vincenzo De Luca che da Roma indirizza alla premier epiteti irripetibili.

“I cittadini che vivono in queste regioni non debbano avere paura di niente”, continua la premier, “perché hanno affrontato di tutto compreso la ‘Ndrangheta e la criminalità organizzata. E devono poter contare sulla sfida della responsabilità. Noi combatteremo la ‘Ndrangheta così, dimostrando che lo Stato quando ti dà qualcosa non ti chiede in cambio la tua libertà’.

Inevitabile il passaggio sulla protesta degli agricoltori, all’indomani del flop dell’esibizione muscolare degli ultrà capitanati dall’ex forcone Calvani. “Non abbiamo avuto bisogno di vedere i trattori in piazza per accorgerci che il mondo agricolo è in difficoltà. Lo sapevamo e ci abbiamo lavorato fin dall’inizio, portando le risorse per l’agricoltura da 5 a 8 miliardi nella revisione del Pnrr”.

Se la questione meridionale parte dalla regione più povera bisognerebbe fare una comparazione tra quanto destinato da Meloni e Fitto e quanto accaduto nei decenni precedenti. Sia il governo Berlusconi nel 2010, sia soprattutto quelli successivi, ritirarono parte dei fondi di coesione per utilizzarli come compensazione del debito sanitario monstre costruito tra fine anni novanta e inizio anni duemila in Calabria. A tutto questo vanno aggiunti i soldi del Pnrr e le opportunità della Zes. Proprio Gioia Tauro ospita il porto più importante del Mediterraneo che le direttive europee vorrebbero ridimensionare. Ha detto bene Wanda Ferro, sottosegretario agli interni e coordinatore di FdI in Calabria, quando ha ricordato i 50 milioni di euro complessivi messi a disposizione della Regione per adattare i beni confiscati alla ndrangheta e restituirli alla comunità collettiva.

Sin dagli anni sessanta, quando Mancini accelerò la realizzazione dell’autostrada, si è sempre collegato l’uso di grandi risorse pubbliche nella regione con il rischio dell’infiltrazione mafiosa. Un sillogismo sterile, perché immaginare una terra senza sviluppo sarebbe di per sé un regalo alle cosche. Ma il dato che emerge più significativamente è l’investimento che il governo Meloni effettua un una realtà resa difficile e tortuosa più dalla burocrazia e dalla mancanza di visione politica che da altri alibi. La programmazione sul dissesto, nella terra più sismica d’Italia , è lo specchio della strategia messa in campo. L’indotto potenziale in termini di occupazione è quantificabile in decine di migliaia di posti di lavoro in più in pochi anni.

‘La Calabria della seconda Repubblica ha sempre contato poco nelle dinamiche politiche e nella ricaduta sugli obiettivi da raggiungere. Oggi si segna una svolta che ora ha bisogno di una capacità di spesa efficiente che riguarda, però, le responsabilità locali. I meridionalisti anni novanta criticavano legittimamente l’assurda equazione tra incapacità di spesa e presenza della criminalità. Erano gli anni in cui l’Irlanda , circondata dall’incubo terrorismo, spendeva il 100% dei soldi che arrivavano da Bruxelles, mentre la Calabria non raggiungeva il 30%. Adesso si tratterà di non perdere un euro e di completare un piano di interventi che è una sorta di Marshall su scala ridotta. La migliore risposta agli sceriffi del nulla autoproclamatisi improbabili difensori del Sud’.

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