L’ondivago movimento pentastellato tra espulsioni, frusta e scudiscio

‘I 15 senatori che hanno votato no alla fiducia saranno espulsi’,   annuncia su Facebook il capo politico del Movimento 5 stelle, Vito Crimi, che aggiunge: ‘si collocano, nei fatti, all’opposizione. Per tale motivo non potranno più far parte del gruppo parlamentare del Movimento al Senato. Ho dunque invitato il capogruppo a comunicare il loro allontanamento, ai sensi dello Statuto e del regolamento del gruppo’.

‘Al Senato il Movimento 5 Stelle ha votato sì. Non lo ha fatto a cuor leggero, è evidente. Ma lo  ha fatto con coerenza, nel rispetto dell’orientamento emerso in seguito all’ultima consultazione, dove la maggioranza dei nostri iscritti si è espressa a favore. E lo ha fatto con coraggio, assumendosi la responsabilità di una scelta che non guarda all’interesse esclusivo del Movimento o al facile consenso, bensì agli interessi di tutti i cittadini italiani e della nostra comunità nazionale. Quello di chi ha votato sì è un voto unitario, una responsabilità collettiva, non del singolo. I compromessi con sé stessi, con i propri credo, convinzioni e valori, sono quelli più difficili. Riuscire ad affrontarli e sostenerli per il bene di un Paese che sta vivendo il momento più difficile della sua storia recente non è una sconfitta, è un valore aggiunto in termini di etica e dignità. I 15 senatori che hanno votato ‘no’ sono venuti meno all’impegno del portavoce del Movimento che deve rispettare le indicazioni di voto provenienti dagli iscritti. Tra l’altro, il voto sul nascente Governo non è un voto come un altro. È il voto dal quale prendono forma la maggioranza che sostiene l’esecutivo e l’opposizione.  Sono consapevole che questa decisione non piacerà a qualcuno, ma se si pretende rispetto per chi la pensa diversamente, lo stesso rispetto si deve a chi mette da parte le proprie posizioni personali e contribuisce al lavoro di un gruppo che non ha altro obiettivo che quello di servire i cittadini e il Paese’, osserva Crimi.

‘Per i senatori assenti  in occasione del voto di fiducia al governo ho chiesto al capogruppo di verificare le ragioni dell’assenza. Se non motivate da comprovate motivazioni di salute o stato di necessità anche per loro sarà prevista la sanzione più grave’, sottolinea ancora  il capo politico M5Ss Vito Crimi dopo l’espulsione dei 15 senatori che hanno votato contro la fiducia al governo Draghi.

Diversi tra coloro che hanno avuto il ‘cartellino rosso’ stanno valutando però di adire le vie legali e ricorrere al giudice contro quella che reputano un’ingiustizia, che potrebbe indurli, tra le altre cose, a chiedere un risarcimento per danno di immagine. ‘C’è il quesito ‘truffaldino’ che è stato sottoposto alla base’,  dice uno dei senatori, ma anche una serie di altre questioni. Per dirne una: il nostro Statuto mette nero su bianco che il voto di fiducia va dato a un premier espressione del Movimento, vi sembra che Draghi lo sia?’.

In una tragica realtà, da notare e sottolineare,  è nato il codice di Hammurabi pentastellato. Per converso la deputata Elisabetta Barbuto traccia in modo ‘fiero’ il corretto codice comportamentale grillino, senza se e senza ma:

‘Se ho scelto di non parlare fino ad ora, questo non significa che io non abbia trascorso delle giornate di travaglio interiore notevole di fronte all’evoluzione dello scenario governativo a partire dall’azione dei guastatori professionisti della brigata Renzi & co per passare alle dimissioni di Giuseppe Conte e giungere alla proposta Mario Draghi. Ho preferito tacere e riflettere.

È evidente che il sistema non ha mai accettato e tollerato il M5S al Governo.

È lo stesso sistema che ci ha additato per gli ultimi tre anni come folli ed incompetenti perché abbiamo avuto il torto di spostare l’asse sull’aspetto sociale dello Stato adottando provvedimenti come il reddito di cittadinanza che ha consentito a tante persone di poter vivere liberi dai ricatti di persone che hanno irrobustito per anni le loro reti clientelari elargendo favori e prebende.

Un provvedimento di civiltà la cui valenza non può essere messa in dubbio dalle richieste e dalla percezione improprie di qualcuno sennò mettiamo in dubbio anche le pensioni di invalidità ed i benefici della legge 104 anch’esse percepite e goduti da qualcuno in maniera impropria.

Sempre dalla parte di coloro che, incolpevolmente, sono gli ultimi.

E’ lo stesso sistema che ha fatto gridare allo scandalo quando è stato varato un provvedimento, poi convertito in legge, come il decreto dignità che pone fine all’utilizzo improprio ed a tutto vantaggio della parte imprenditoriale di forme contrattuali a tempo determinato rendendo precari a vita tanti giovani, impedendo loro di programmare un futuro, e meno giovani che la loro età rende più vulnerabili ai ricatti perché spesso con famiglia, figli, impegni e difficilmente ricollocabili nel mondo del lavoro.

Un provvedimento che tutela i lavoratori e punisce le imprese che delocalizzano.

Sempre dalla parte dei lavoratori.

È lo stesso sistema che ci ha additato come giustizialisti perché abbiamo avuto il torto di ricordare che la giustizia deve essere al servizio dei cittadini. E cittadini non sono solo gli indagati e gli imputati, ma anche le vittime ed i loro familiari che spesso e volentieri al danno della perdita, della privazione dei loro affetti, subiscono il calvario di un iter processuale lungo e doloroso a conclusione del quale però, spesso, la prescrizione salva, anzi grazia i primi, ma paradossalmente condanna i secondi ad una pena che si concluderà solo alla fine della loro vita e senza ottenere giustizia.

Ebbene se oggi si parla finalmente e concretamente di riforma del processo penale per abbreviarne i tempi, nell’interesse di tutti i cittadini, forse ciò è determinato dalla riforma della prescrizione in mancanza della quale probabilmente nessuno avrebbe avuto interesse che cambiassero le cose.

Sempre dalla parte degli incolpevoli.

È lo stesso sistema che ha storto il naso quando abbiamo avuto il torto di introdurre il superbonus al 110% nell’ottica di evitare ulteriore cementificazione e valorizzare nonché rendere energeticamente sostenibile gli immobili già esistenti andando incontro alle fasce più deboli della popolazione che potrà eseguire i lavori senza spendere alcunché. Non il solito condono per ratificare gli abusi edilizi che spesso deturpano le nostre città.

Un provvedimento che premia gli onesti e tutti coloro che negli anni hanno costruito attenendosi alle regole e di certo non i furbi e gli abusivi.

Sempre dalla parte degli onesti.

E questi sono solo alcuni degli esempi dei provvedimenti che siamo riusciti a fare approvare pur non essendo da soli al Governo. Se fossimo rimasti all’opposizione ieri probabilmente non avremmo avuto voce in capitolo e si sarebbe consumato un lungo iter di continuità con i governi precedenti. Se fossimo rimasti all’opposizione oggi, probabilmente non avremmo la stessa forza nel difendere i risultati raggiunti e avremmo sicuramente assistito, impotenti, alla restaurazione.

Ecco perché ho votato SI alla fiducia. È stata una scelta dura, travagliata. Comprendo l’emozione della collega Leone al Senato. La comprendo perché anche io ho provato, e forte, la tentazione fino all’ultimo di dire NO tanto è vero che ho votato solo alla seconda chiama. Ma, alla fine, ho detto SI perché è prevalsa in me la decisione di rispettare la volontà di coloro che si sono espressi su Rousseau nonché la volontà di tutti gli elettori italiani che il 4 marzo 2018 ci hanno dato il loro voto per cambiare. L’esperienza mi ha insegnato che mettendosi fuori da soli non si cambia proprio nulla ed io devo continuare a pensare al mio territorio per il quale combatterò fino all’ultimo giorno del mio mandato.

D’altronde solo chi non fa non sbaglia mai, anche se si permette pure di pontificare.

Poiché credo fortemente nei valori democratici e poiché, come sintetizzato nella mirabile frase attribuita a Voltaire “Non condivido la tua opinione ma darei la vita per fartela esprimere”, RISPETTO tutti coloro che hanno votato in dissenso e le loro ragioni anche se non condivido le contrapposizioni feroci delle ragioni del SI e del NO e le modalità aggressive e denigratorie delle espressioni usate da taluno. Ognuno, credo, sia in grado al termine di un percorso proprio, logico e argomentativo, di giungere ad una decisione e ci sarà tempo e modo, se necessario, per dire NO.

Lo stesso RISPETTO pretendo per la mia posizione.

GRAZIE

Elisabetta Barbuto (M5S Camera)

E’ utile poi ascoltare il commento del deputato pentastellato Francesco Sapia, altro espulso dal Movimento 5 Stelle per aver votato contro la fiducia all’esecutivo Draghi:

‘Esco dal Movimento a testa alta, ritenendo di non averne tradito i princìpi e i valori democratici, sicuro di averli difesi fino alla fine, soprattutto nella mia Calabria, sempre vittima della ’ndrangheta, della corruzione e della paura di cambiare. Al di là di generici riferimenti all’occupazione femminile, alla legalità e alla sicurezza, nell’illustrare il suo indirizzo di governo  il presidente Mario Draghi ha eluso il problema della distanza culturale, economica e sociale dell’Italia meridionale da quella settentrionale, causata da ingiustizie e diseguaglianze colpevolmente irrisolte, a cominciare dai criteri vigenti di ripartizione del Fondo sanitario, che hanno determinato un mercato perpetuo della salute, debiti, disavanzi e povertà a discapito dei cittadini Sud. Nel Mezzogiorno c’è poi una questione ancora più pesante, cioè quella calabrese, che non può essere trascurata o, peggio, ignorata o ridotta a commissariamenti inutili. Perciò ho assunto una decisione tutta politica, intanto per coerenza con le battaglie, soprattutto per la sanità calabrese, condotte alla luce del sole con la bandiera del Movimento 5 Stelle, cui il Sud diede una valanga di voti alle Politiche del 2018. Nessun finanziamento o programma europeo può servire ai singoli Paesi, se un governo nazionale non investe risorse finanziarie ed energie politiche partendo dalle aree più svantaggiate come il Mezzogiorno italiano, in cui persiste un’evidente arretratezza nel campo dell’istruzione, della formazione, delle infrastrutture, delle opportunità, del lavoro, delle garanzie per i più deboli e della tutela della salute. Per il Sud  si continuano a imporre modelli di sviluppo che vanno benissimo per aree con caratteristiche produttive ed economiche differenti. Ma noi non siamo la regione padana né il Nord-Ovest. Per quanto concerne l’ammodernamento degli ospedali, i criteri di distribuzione delle risorse fanno ancora riferimento alla popolazione residente, il che è assurdo. Ancora, per il finanziamento dei Servizi sanitari siamo fermi ad algoritmi tremendi che non considerano i tanti malati cronici del Mezzogiorno, più bisognosi di farmaci e di assistenza. Rispetto a problemi, Draghi ha voltato del tutto lo sguardo. Spero che non lo faccia il Movimento 5 Stelle, spero che abbia un sussulto di dignità. Proseguirò  nell’impegno a favore del Mezzogiorno e della Calabria in particolare, continuando a proporre interventi e soluzioni di equità concreta, anche sul piano fiscale. Non è possibile che il Sud venga messo ai margini del programma di spesa pubblica, a debito, che lo Stato si accinge ad avviare’.

Ricordiamo che il Movimento era alle origini un ‘non-partito’ creato nel 2009 da Gianroberto Casaleggio e Grillo in virtù di una ‘non ideologia’ (né di destra né di sinistra) – intesa a massimizzare il consenso elettorale.

Nel 2018, un calcolo realistico sostituisce al divieto di alleanze la disponibilità a stringerne sia a destra che a sinistra: estrema flessibilità giustificata dal credo salvifico nella democrazia diretta. Nel M5S non è importante infatti cosa si decide, ma come lo si decide. A fare legge e a dettare la linea è, o si dichiara essere, la maggioranza degli iscritti, rigorosamente online (le assemblee nazionali di tipo fisico restano un tabù fino agli Stati Generali del 2020), su una piattaforma di voto nata nel 2012, e che dal 2016, implementata con altre attività, è tenuta a battesimo con il nome di Rousseau. Agli iscritti è richiesta totale fiducia nel gestore della piattaforma, la Casaleggio Associati. Dall’esterno non è possibile conoscere il numero di votanti né di voti ricevuti dalle alternative di volta in volta proposte, se non attraverso i comunicati dell’azienda in questione. Non si tratta di ipotizzare o sospettare manipolazioni, ma di non poter escluderne con certezza l’esistenza. D’altra parte, come Grillo ha ripetuto in più di un’occasione, nessuno costringe gli iscritti a restare, se non condividono le modalità in uso nel partito. Se restano le accettano, in un implicito patto di silenzio/assenso. A un potere virtualmente assoluto del gestore della piattaforma, ha fatto per anni da contrappeso quello esercitato attraverso il possesso del marchio da Beppe Grillo e dall’associazione Movimento5stelle.

Nel corso del 2020, le tensioni interne al ‘non-partito’ sembrano aver imboccato una spirale in crescendo, che rischia di condurlo all’auto-implosione. I contrasti e le divisioni interne cui è solitamente soggetta una forza politica, sembrano accentuarsi in un partito che si vuole ideology-free. Ancor più se ribalta le alleanze, come il M5S ha fatto, passando da un governo con la Lega a uno con il Partito democratico. È a questo punto che lo scontento e le divisioni all’interno del partito si esasperano, fino a costituire un pericolo per la tenuta della maggioranza.

La  partecipazione diretta alla vita parlamentare è segnata fin dall’inizio da una contraddizione strutturale. I suoi eletti si trovano a esercitare ruoli di parlamentare politicamente vincolati al mandato imperativo, in un contesto in cui vige il divieto costituzionalmente sancito di mandato imperativo. Di conseguenza sono esposti alle tensioni e ai conflitti morali propri del contrasto tra portavoce e rappresentante, tra delega e autonomia. Sono tensioni e conflitti che si aggiungono, acuendoli, a quelli tipici dell’eletto in genere, preso tra fedeltà al gruppo parlamentare e giudizio personale. Vi è poi il cronico scontento legato al deficit di confronto democratico, cioè alle limitazioni poste al dibattito entro e tra i due gruppi parlamentari. Uno scontento aggravato dalla percezione diffusa tra i deputati e i senatori del proprio declassamento rispetto al potere decisionale degli iscritti alla piattaforma Rousseau, ad essi in grandissima parte ignoti.

Quella tratteggiata è la condizione nella quale Il Movimento Cinque Stelle si è disposto ad affrontare, a metà novembre 2020, la prova degli Stati Generali.

Gli Stati Generali si concludono con il voto online del dicembre 2020, che di fatto ancora una volta affida la gestione dei dati e delle operazioni di voto alla Associazione Rousseau, presieduta da Davide Casaleggio. Se ciò sia dovuto al timore di scissione, di crisi di governo o altro, Davide Casaleggio sembrerebbe così aver conservato un controllo. Senonché, diventando collegiale il ruolo di capo politico, la direzione oligarchica potrebbe offrire un più forte contrappeso all’azienda, a condizione, improbabile, che possa agire contenendo i propri conflitti interni. Merita inoltre notare come i votanti chiedano di costituire sedi fisiche locali, un primo timido tentativo di sottrarsi al virtuale, il cui controllo sfugge tanto agli iscritti quanto agli eletti.

Chi scrive, vista la ‘mutante’ linea politica del Movimento,  che parlava alle origini di ‘scatoletta di tonno’, leggi parlamento, da aprire per mostrarne il contenuto, senza tener di conto che ci si poteva affezionare alla scatoletta, tanto da non volerla mollare, disposto a tutto, finanche a smentirsi, politicamente e non, tirando fuori frusta e scudiscio per chi osa lavorar di ragione e di passo, mostrando i propri contenuti di pensiero. Un Movimento ondivago che,  più prima che poi,  troverà rifugio nelle stelle della memoria.

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