“La meraviglia del tutto” di Piero Angela, con Massimo Polidoro

La meraviglia del tutto. Conversazione con Massimo Polidoro
di Piero Angela
Mondadori

Massimo PolidoroDa quando ti conosco, ho visto prevalere in te l’ottimismo. Da dove nasce questo tuo atteggiamento?
Piero Angela: Sicuramente da mia madre, una donna sempre allegra e positiva, oltre che molto affettuosa. Da lei ho ereditato sia l’ottimismo che il senso dell’umorismo, non c’è dubbio. Ma devo dire che sono stato influenzato, quando ero giovane, anche da un libretto: la traduzione fatta da Leopardi del Manuale di un filosofo greco che si chiamava Epitteto, il quale vedeva l’ottimismo attraverso il pessimismo. Diceva: se ti aspetti il peggio, che le cose vadano di traverso, e riesci poi comunque a combinare qualcosa, allora sarai felice. E questo, devo dire, è il fondo di ottimismo, temperato da un sano scetticismo, certo, che mi ha sempre accompagnato e mi ha aiutato molto.

Quali sono alcuni degli altri libri che sono stati importanti per te?
Oltre al Manuale di Epitteto, che per la prima volta mi ha fatto scoprire il piacere di imparare a pensare, un libro fondamentale per me è stato Il caso e la necessità di Jacques Monod. Sai, quando qualche anno fa mi hanno invitato al mio vecchio liceo a Torino, il Massimo d’Azeglio, io non ho potuto partecipare, ma ho mandato un mio libro e una copia del libro di Monod, con la speranza che qualche studente, leggendolo, potesse trovare quella meraviglia che ci avevo visto io. E poi, Biologia e struttura di Henri Laborit, L’evoluzione di Giuseppe Montalenti e, naturalmente, I limiti dello sviluppo, il rapporto del Club di Roma. Romanzi invece non ne ho letti molti, il poco tempo che avevo l’ho dedicato alla conoscenza, più che alla letteratura. Non mi dispiace però la fantascienza e il mio preferito è stato Arthur C. Clarke, di cui mi piaceva la verosimiglianza scientifica.

Di quando eri giovane c’è qualcosa che rimpiangi?
Solo la forma fisica. A vent’anni ero un poveretto, tutto entusiasmo: non capivo niente! Poi si cresce, e studiando scopri che la maturazione fisica del cervello si completa tra i 21 e i 22 anni, prima mancano proprio gli allacciamenti tra emozioni e razionalità. Per quello da giovani siamo folli come non saremo mai più, e ci tuffiamo a capriola dalle rocce nell’acqua ghiacciata, prima di acquisire l’esperienza e la prudenza che – nel bene o nel male – non ce lo faranno più fare.

Che cosa ha guidato le scelte che hai fatto nel corso della tua vita?
La curiosità. Ho sempre fatto i programmi televisivi che avrei voluto vedere, e ho scritto i libri che avrei voluto leggere, su tutti gli argomenti che desideravo conoscere meglio. Quando hai davanti una pagina bianca e devi riempirne due o trecento, tu lo sai bene, è insieme un’avventura e un tormento. […]

E tu, con i tuoi libri, che hanno avuto una tiratura complessiva di milioni di copie, hai intrapreso con i lettori un ragionamento che è durato cinquant’anni: se dovessi individuare un unico filo conduttore, quale sarebbe?
Un autore è sempre un po’ in imbarazzo se deve parlare dei suoi libri e della sua opera, preferisce che siano gli altri a farlo, anche perché quello che conta in una comunicazione è ciò che arriva, più che ciò che parte. Credo, comunque, che il filo che cuce insieme tutti i miei libri sia sempre lo stesso: il desiderio di conoscere e di capire, il piacere di scoprire, di decifrare le straordinarie orologerie della natura. Ci sono talmente tante domande che ognuno di noi si pone sul mondo esterno che ci circonda e su quello interno, mentale, che un curioso, proprio come ho fatto io, ha di che riempire una vita intera, andando in giro a esplorare e a interrogare coloro che cercano le risposte. La nostra è la più straordinaria delle epoche, perché le conoscenze e le scoperte si sono talmente moltiplicate, in quest’ultimo secolo, che l’immagine dell’uomo e del suo universo è diventata sempre più leggibile e molti dei nostri interrogativi hanno avuto o stanno iniziando ad avere sostanziali risposte. E chi, come me, va in giro professionalmente per il mondo a raccogliere e collegare questa massa di informazioni, cercando di fare un discorso unitario, ha un solo rimpianto.

Quale?
Quello di non avere abbastanza orecchie per ascoltare, occhi per leggere, mani per scrivere! Per questo ho sempre cercato di scrivere i libri che avrei voluto leggere io all’inizio, cioè capaci di dare, per quanto possibile, quello che, a mio avviso, è il significato delle conoscenze oggi acquisite, in un linguaggio comprensibile a tutti.

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