Jozsef Tamàs Szabò, giudice ungherese: ‘Il governo italiano non può far nulla sul caso Salis’

Una telefonata al padre di Ilaria Salis accende i fari del Colle sulla docente italiana detenuta da 13 mesi in Ungheria. Un’iniziativa che – pur nelle prerogative previste “che non sono ampie sul piano operativo e passano attraverso il governo” – vede Mattarella promettere un interessamento personale sulla vicenda dopo il nuovo diniego dei domiciliari.

Sul caso di Ilaria Salis l’Italia può fare qualcosa, ma non tutto. Può protestare contro le catene in aula, può chiedere un miglior trattamento dei detenuti, può lavorare di diplomazia, ma non può costringere i giudici ungheresi a rilasciare la giovane italiana da 13 mesi in carcerazione preventiva. A confermarlo, adesso, c’è anche la controparte di Budapest per voce di Jozsef Tamàs Szabò, giudice portavoce del tribunale ungherese: un intervento del governo italiano, spiega, “sarebbe del tutto inutile e non porterebbe a nessun risultato” perché “i giudici in Ungheria sono indipendenti dalle pressioni esterne e nessuno può intervenire in questo o in qualsiasi altro processo”.

Durante l’udienza del processo alla 39enne, a saltare agli occhi è un dettaglio: in Tribunale un altro detenuto era legato mani e piedi e tenuto per un guinzaglio proprio come Ilaria Salis, a dimostrazione che il trattamento riservato alla nostra connazionale, per quanto abnorme, non sia esclusivo. Anzi. A ben vedere anche l’Italia non è da meno, come spiegato dal magistrato Cuno Tarfusser, ospite di Nicola Porro: nei nostri tribunali gli imputati arrivano in aula “con le manette ai polsi, in fila indiana e uniti con un guinzaglio tenuto da un agente di polizia penitenziaria”. Per questo il magistrato – che pure ha chiesto e ottenuto il diniego di estradizione di Gabriele Marchesi, accusato insieme alla Salis di aver aggredito i neonazisti a Budapest – si è detto “sbigottito dalle reazioni” alle fotografie di Ilaria in catene. Il Belpaese, sostiene, “non è in grado di insegnare nulla a nessuno sotto questo profilo” visto che di fronte al giudice agli imputati vengono tolte le manette ma per poi essere sbattuti “in una gabbia”.

I legali di Ilaria Salis avevano chiesto la detenzione domiciliare a Budapest e proposto una cauzione da 40mila euro. Nonostante il clamore mediatico, tuttavia, l’imputata non ha ottenuto la tanto sperata scarcerazione. “I miei colleghi hanno ritenuto che sussista ancora il pericolo di fuga e il rischio di reiterazione del reato – spiega a Quarta Repubblica il giudice Szabò – La signora è accusata di un reato grave, punibile da 2 a 8 anni, ma siccome le viene accusata anche l’organizzazione criminale rischia fino a 18 anni”. Secondo i pm le lesioni, sebbene guarite in pochi giorni, potevano essere “potenzialmente letali”. Per questo la carcerazione preventiva, secondo l’ordinamento ungherese, può arrivare fino a 4 anni prima di una sentenza, anche se di norma il 98% dei processi si conclude entro un anno dall’imputazione. “Se avesse confessato prima del processo – prosegue il magistrato – avrebbe potuto patteggiare una pena massima di 11 di reclusione”.

Di fronte al tribunale si era riunita anche una delegazione di deputati italiani accompagnati da Zerocalcare. Una decisione dal forte impatto politico, forse necessaria a lanciare una possibile candidatura della Salis col Pd alle Europee, ma di dubbia utilità. Se non proprio controproducente. I giudici ungheresi ribadiscono infatti la loro indipendenza e negano che un governo straniero possa fare qualsiasi forma di pressione. Alzare il tono dello scontro potrebbe invece avere l’effetto contrario irrigidendo la controparte ungherese. Per il ministro Tajani, infatti, trasformare un processo “in un grande caso politico o in uno scontro con il governo ungherese è un errore perché loro hanno il coltello dalla parte del manico. La Salis è una detenuta in attesa di processo, è vergognoso che sia condotta in aula con le manette alle mani e ai piedi. Abbiamo protestato molte volte, ma è un grave errore politicizzare la questione, ovvero trasformarla in una vicenda politica e non solo di tipo giudiziario. A Budapest sono andati i parlamentari di sinistra ed estrema sinistra: tutto è lecito ma questa politicizzazione non aiuta la concessione degli arresti domiciliari e il suo ritorno in patria”.

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