Il premierato, autentico ostacolo del governo Meloni

La commissione Affari costituzionali del Senato ha approvato l’emendamento del governo che modifica l’articolo 92 della Costituzione e introduce l’elezione diretta del presidente del Consiglio dei ministri.

Il Governo – si legge nel testo approvato – “è composto del Presidente del Consiglio e dei ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri. Il Presidente del Consiglio è eletto a suffragio universale e diretto per cinque anni, per non più di due legislature consecutive, elevate a tre qualora nelle precedenti abbia ricoperto l’incarico per un periodo inferiore a sette anni e sei mesi. Le elezioni delle Camere e del Presidente del Consiglio hanno luogo contestualmente.

La legge disciplina il sistema per l’elezione delle Camere e del Presidente del Consiglio, assegnando un premio su base nazionale che garantisca una maggioranza dei seggi in ciascuna delle Camere alle liste e ai candidati collegati al Presidente del Consiglio, nel rispetto del principio di rappresentatività”.

La norma prevede poi che “il Presidente del Consiglio è eletto nella Camera nella quale ha presentato la candidatura” e che “il Presidente della Repubblica conferisce al Presidente del Consiglio eletto l’incarico di formare il Governo; nomina e revoca, su proposta di questo, i ministri”.

L’intenzione di approvare il testo in prima lettura prima delle Europee, ovvero entro il 15-20 maggio, non sembra più a portata di mano. E non solo per questioni di calendario. Il fascicolo degli emendamenti è passato da 864 pagine a 349, più che dimezzato quindi, ma le votazioni sono al momento paralizzate dalle obiezioni delle opposizioni che hanno messo sul tavolo il nodo della legge elettorale.

“Il governo gioca a nascondino sulla legge elettorale”, attacca il senatore Dario Parrini (Pd). “Quando si propongono modifiche costituzionali sulla forma di governo si deve discutere in parallelo della legge elettorale destinata a renderle operative. Questa volta invece la maggioranza vuol andare avanti a carte coperte, un trucco per rivelare il più tardi possibile la scomoda verità ovvero che per la destra italiana le liste bloccate sono irrinunciabili”. Altro che cittadini liberi di scegliere il premier… A parte le questioni di merito su una legge, insiste Parrini, “che anche i sondaggi dicono non essere capita e neppure gradita”, ci sono poi le divisioni interne. Il senatore Pera (FdI) prima della pausa pasquale ha dichiarato in Commissione che l’elezione diretta del premier non è così fondamentale. Per non parlare di Salvini: guai se la riforma costituzionale dovesse fare il primo dei quattro giri di boa parlamentare mentre l’Autonomia differenziata (già avuto il primo ok al Senato) è a sua volta nella palude della Commissione alla Camera. Insomma, la settimana è decisiva per capire se il governo, magari con un emendamento choc, tenti un’accelerazione.

E’ arrivato all’esame della commissione Affari Costituzionali del Senato, per l’avvio della prima lettura, il disegno di legge costituzionale (sottoscritto dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dalla ministra per le riforme istituzionali e la semplificazione normativa Elisabetta Casellati) per l’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei ministri, il rafforzamento della stabilità del Governo e l’abolizione della nomina dei senatori a vita da parte del Presidente della Repubblica (con modifiche agli articoli 59, 88, 92 e 94 della Costituzione)

Queste le direttrici principali del disegno di legge costituzionale:

– elettività popolare diretta del Presidente del Consiglio

– costituzionalizzazione di un premio – su base nazionale – tale da “garantire” in ambedue le Camere una maggioranza dei seggi alle liste e ai candidati collegati al presidente del Consiglio

– scioglimento delle Camere da parte del presidente della Repubblica, qualora il Presidente del Consiglio eletto non riesca a conseguire la fiducia parlamentare delle Camere o in caso di revoca della fiducia al premier eletto mediante mozione motivata

– In caso di dimissioni del Presidente del Consiglio, conferibilità dell’incarico di formare il Governo a parlamentare diverso che sia stato candidato in collegamento, per attuare i medesimi impegni programmatici ed indirizzo politico.

«Il Presidente del Consiglio è eletto a suffragio universale e diretto per la durata di cinque anni». Così prevede il disegno di legge in esame, entro un articolo 92 della Costituzione da esso riformulato. È dunque sancito il principio della elettività diretta del Presidente del Consiglio. Con il limite però di due mandati consecutivi, come chiesto dalle opposizioni

Il testo riformulato dal governo prevede «un premio su base nazionale che garantisca una maggioranza dei seggi in ciascuna delle Camere alle liste e ai candidati collegati al presidente del Consiglio» (non più con la soglia fissata al 55 % come previsto inizialmente, ndr). La soglia necessaria a far scattare il premio, l’eventuale ballottaggio se nessuno raggiunge la soglia, come conteggiare il voto dei 5 milioni di italiani all’estero, sono tutte questioni rimandate alla futura legge elettorale

Al momento il testo prevede due casistiche: in caso di revoca della fiducia al premier eletto mediante mozione motivata il presidente della Repubblica scioglie le Camere .

Mentre in caso di dimissioni volontarie il premier può chiedere e ottenere lo scioglimento delle Camere oppure passare la mano ad un altro parlamentare della maggioranza sul modello inglese. Non è stato normato il caso di dimissioni non volontarie ma obbligate in seguito alla mancata fiducia su un provvedimento. La prossima settimana, quando si voterà l’articolo 4 il governo potrebbe proporre una riformulazione che sostituisca l’espressione «dimissioni volontarie» con «in tutti gli altri casi di dimissione».

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