La delegazione del GRUPPO PARLAMENTARE “FRATELLI D’ITALIA” DEL SENATO DELLA REPUBBLICA E DELLA CAMERA DEI DEPUTATI,in occasione delle consultazioni (foto di Francesco Ammendola - Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)

Giorgia Meloni tra salario minimo e referendum

Come è noto è stato raggiunto l’accordo tra Consiglio, Parlamento e Commissione Ue sulla direttiva per il salario minimo. Ad annunciarlo è stata la Commissione per l’occupazione e gli affari sociali del Parlamento europeo (Empl) sul suo account Twitter. È “una tappa importante per l’Europa sociale“, ha commentato la presidenza di turno francese dell’Ue. “Nel pieno rispetto delle diversità nazionali, il provvedimento favorirà dei salari minimi adeguati nell’Unione e lo sviluppo della contrattazione collettiva“, si legge in un tweet. L’intesa dovrà ora essere approvata in via definitiva sia dal Parlamento sia dal Consiglio Ue, poi toccherà ai Paesi membri recepirla.

In Italia il salario minimo è tornato sotto i riflettori della Commissione Lavoro del Senato il 10 maggio scorso. Dopo mesi di pause e interruzioni, è infatti ripreso l’iter parlamentare del disegno di legge, a firma dell’ex ministro del Lavoro Nunzia Catalfo. In base al testo al centro della discussione, si prevede nei contratti una retribuzione complessiva non inferiore a 9 euro all’ora al lordo degli oneri contributivi e previdenziali.

Per  Giorgia Meloni “quella del salario minimo è la classica arma di distrazione di massa, rispetto al complesso dei problemi del mondo del lavoro. Ricordo che molti lavoratori sono già garantiti da un contratto nazionale di lavoro nel quale è presente la garanzia del salario minimo. A me pare un tema per non affrontare le discriminazioni vere che esistono nel mercato del lavoro, parlo della precarietà, dei lavoratori autonomi, il problema della tassazione troppo alta. Se davvero si volessero alzare i salari, la soluzione migliore sarebbe quella di tagliare il cuneo fiscale”.

A giudizio della Meloni, infatti, l’emergenza lavoro andrebbe affrontata in misura più complessiva. Diversamente, avverte, «si rischia di far finta di risolvere un problema che in realtà impatta in misura minima».

Ed è così, visto che la misura riguarda lavoratori già tendenzialmente coperti da un contratto nazionale. «E dove c’è un contratto nazionale – ragiona la leader della destra –, tendenzialmente c’è anche un salario minimo». Il vero nodo è, infatti, quello del salario inadeguato. In questo caso, avverte, «se si vuole risolvere il problema bisogna tagliare le tasse sul lavoro, lato lavoratore». Lo chiede anche Confindustria. «Questa sarebbe la misura seria, altrimenti rischiamo di non risolvere proprio il problema», taglia corto la presidente di Fratelli d’Italia. Ma ad occupare l’agenda della politica ci sono anche i cinque quesiti referendari sulla giustizia. Raggiungere il quorum è impresa quasi proibitiva.

La Meloni ne addossa le responsabilità sia alla «curiosa cappa di silenzio» calata dei media sull’argomento sia alla decisione del governo di far votare in un solo giorno. «È stato fatto tutto quello che si poteva fare per non consentire nel migliore dei modi un pronunciamento dei cittadini», denuncia. Per poi aggiungere: «È assolutamente importante che la gente vada a votare». L’esortazione a non disertare le urne accomuna l’intero centrodestra. La Meloni lavora per tenerlo unito. Lo ha scritto anche in tweet, prontamente arpionato dal dem Bonaccini: «Non siete centrodestra. Siete destra sovranista e populista». Ma la Meloni controreplica al presidente dell’Emilia-Romagna: «L‘unica patente che mi serviva l’ho presa a scuola guida circa 25 anni fa. Con quelle che pretendete di darmi voi ci incarto la pizza…».

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