Dal populismo politico al populismo istituzionale

In Italia ogni decennio si apre la stagione delle riforme costituzionali. Questo accade ogniqualvolta i leader politici vanno al governo e si accorgono di non poter mantenere le promesse, spesso fantasiose, fatte durante la campagna elettorale, allora tentano di spostare la loro ambizione di scrivere la storia del nostro Paese, sulle riforme della nostra Carta Costituzionale. Si passa in un lasso di tempo dal populismo politico al populismo istituzionale. In questi giorni si fronteggiano e/o si scontrano, da una parte la riforma del premierato  proposta dalla Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni che l’ha definita ‘la madre di tutte le riforme, dall’altra la proposta di legge Calderoli sulla cosiddetta Autonomia differenziata, voluta fortemente dal leder leghista, Matteo Salvini. Dunque queste due proposte di riforma sono figlie della stessa famiglia della destra ‘riformatrice ‘, almeno così dicono i due leader. Infatti avranno un iter parlamentare  quasi contemporaneo, con la differenza che la proposta del premierato dovrà essere sottoposto a referendum. Sul piano politico le due proposte sono, almeno per il momento, connesse tra loro e rappresentano l’identità di una destra a due teste. Ci sorge spontanea la domanda:’Cosa hanno in comune il sovranismo da premierato e il sovranismo localista? La risposta è ovvia e scontata. Nulla! Nei fatti rappresentano una visione dello Stato totalmente antitetica. Non occorre essere costituzionalisti per capire che far intraprendere il cammino insieme alle due proposte è quanto di più cervellotico si potesse immaginare nel panorama culturale della destra italiana. Come possono convivere un Premier eletto dal popolo che inevitabilmente si identifica con il potere centrale con delle regioni che vogliono diventare piccoli stati autonomi? È una vera contraddizione. Come si può conciliare l’elezione diretta del Presidente del Consiglio mentre nel frattempo si cerca di incrinare l’ossatura unitaria dello Stato? Dobbiamo dedurre, che le due proposte non fanno parte della stessa famiglia, non sono connesse tra loro, ma convivono nella stessa coalizione di maggioranza, per ragioni diverse, che non sono figlie di un pensiero politico unico e coerente. L’Autonomia differenziata infligge un colpo mortale al collante unitario. Del resto abbiamo già cinque regioni a Statuto speciale, tra coloro che hanno promosso l’Autonomia differenziata nel 2017 ed altre che hanno intrapreso questo cammino, mentre solo sei resteranno, si fa per dire, ‘normali ‘. Per cui l’ Italia si trasformerà in una sorta di Stato a sovranità limitata, per aver concesso autonomia speciale a quasi tutte le regioni. Ma tutto questo che c’entra con il Premierato? Il progetto di un uomo o una donna solo al comando del Paese dovrà convivere con una realtà poliarchica a livello locale, che inevitabilmente finirà per comprimere la potestà del potere centrale. Proposte alquanto balzane e schizofreniche. La verità che già nelle prime righe abbiamo sottolineato, è il lanciarsi dei leader politici che vanno al governo sulle riforme istituzionali per mascherare agli occhi del proprio elettorato la loro incapacità di mantenere le promesse fatte durante la campagna elettorale. Attualmente la difficoltà, anche se non voluta, del governo in carica è il varo della legge finanziaria per il 2024 che esaminandone il testo che dovrà passare al vaglio di Camera e Senato, è un disastro manifesto. Quindi spostare l’attenzione dei cittadini su proposte mirabolanti e fantasiose di riforma della Carta Costituzionale, serve a mantenere alta la tensione dell’elettorato, con la speranza di conservare i consensi o addirittura aumentarli . Ma così si finisce per cadere nell’estremismo e nella contraddizione che del primo ne è un incentivo.
Andrea Viscardi

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