Stellantis e Tavares a Giorgia Meloni: ‘Più soldi dal governo o chiuderemo aziende delocalizzando’

Sono trascorsi un po’ di giorni da quando il quotidiano degli Elkann, “Repubblica”, titolava sulle svendite all’estero dei gioielli nostrani, “Italia in svendita“, un titolo che provocò la dura reazione del premier Meloni, che ribaltò le accuse facendo notare che Stellantis, ex Fiat ormai francese, stava arretrando dall’Italia da tempo e senza rinunciare ai sussidi.  Carlos Tavares ha lasciato intendere che senza ulteriori sussidi al gruppo, oltre a quelli già promessi dal governo Meloni, i tagli e le delocalizzazioni saranno inevitabili.

“L’Italia – ha detto il manager all’agenzia Bloomberg – dovrebbe fare di più per proteggere i suoi posti di lavoro nel settore automobilistico anziché attaccare Stellantis per il fatto che produce meno nel nostro Paese. Si tratta di un capro espiatorio nel tentativo di evitare di assumersi la  responsabilità per il fatto che se non si danno sussidi per l’acquisto di veicoli elettrici, si mettono a rischio gli impianti in l’Italia”, afferma Tavares. Più soldi per l’elettrico: un miliardo di euro di sussidi pubblici non bastano per restare, è il senso della dichiarazione.

Tavares parla di progetti e di investimenti senza citare il tema economico del contendere,  di cui invece parla esplicitamente il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, mettendo però sul tavolo la proposta-provocazione di entrare nel capitale del gruppo, non di gettare soldi a pioggia. “Se Tavares o altri ritengono che l’Italia debba fare come la Francia, che recentemente ha aumentato il proprio capitale sociale all’interno dell’azionariato di Stellantis, ce lo chiedano”, ha detto il ministro al termine del tavolo automotive convocato per illustrare il nuovo piano di incentivi da 950 milioni di euro. Una proposta o una provocazione?  Adolfo Urso, stando alla sua dichiarazione, senza chiedersi se sia o meno una provocazione, propone la folle idea dell’intervento dello Stato italiano in Stellantis per bilanciare la presenza dello Stato francese. Il ministro forse  vive l’illusione di una nuova Alfa Romeo a spese del contribuente proprio nel momento in cui il Governo non sa come trovare le risorse per impedire il tracollo del più grande impianto siderurgico europeo come quello dell’ex Ilva di Taranto. Ma che senso avrebbe mai investire i soldi degli italiani per tentare di controbilanciare, in nome del sovranismo economico, la presenza dello Stato francese in Stellantis? Non ha alcun senso. Non solo perché sarebbe un investimento costosissimo per le casse dello Stato italiano – più di 6 miliardi di euro agli attuali prezzi di Borsa – ma perché non servirebbe assolutamente a nulla in quanto i principali azionisti della casa automobilistica franco-italiana hanno di fatto in mano la maggioranza di Stellantis con 27,4% del capitale ma il 43,8% dei diritti di voto, di cui 9,6 in capo alla Cdp francese. L’ipotetico investimento pubblico in Stellantis sarebbe solo un investimento a perdere anche se, per il colmo dei paradossi, i rigurgiti di statalismo seducono la sinistra radicale, dalla Fiom-Cgil al Pd di Elly Schlein e ai Cinque Stelle di Giuseppe Conte, per non dire di Carlo Calenda, che ha riscoperto il suo vecchio mestiere di portavoce dell’ex Presidente della Ferrari, Luca Montezemolo.  Molto più sensato per il Governo italiano sarebbe dotarsi di una politica industriale degna di questo nome che si basi su uno scambio onorevole e trasparente tra Stato e azienda come fanno gli altri Paesi: incentivi pubblici a sostegno dell’incremento certo dei volumi produttivi di vetture in Italia e in particolare dell’auto elettrica. Urso spiega che il 2024 sarà un anno sperimentale per gli incentivi: si dovrà verificare il funzionamento ed eventualmente procedere con una loro revisione. Se l’obiettivo dell’aumento della produzione di auto nel nostro Paese non verrà raggiunto – dice il ministro – dal prossimo anno le risorse del fondo automotive saranno indirizzate non più a incentivare i consumi, ma a sviluppare nuovi investimenti produttivi nel nostro Paese, anche di riconversione produttiva, e una seconda casa automobilistica in Italia”. Il mercato italiano ha iniziato il 2024 con un dato positivo: a gennaio sono state immatricolate 141.946 auto, il 10,61% in più dello stesso mese del 2023. Tutta la filiera chiede che si faccia in fretta a renderli operativi perché l’attesa potrebbe creare un blocco del mercato. Sia la Schlein che Conte si schierano, ovviamente, con Stellantis, con il leader del M5s che chiede di trattare l’ingresso dello Stato in Stellantis ‘considerando la consolidata partecipazione dello Stato francese’. Forse il leader del M5S dimentica che la firma dell’accordo di fusione tra Fca e Psa è del dicembre 2019 e la fusione è diventata effettiva il 16 gennaio 2021. Chi c’era a Palazzo Chigi? Giuseppe Conte, il M5S e il Pd, è la replica del deputato di Fratelli d’Italia Francesco Filini. Tante le dichiarazioni di Montezemolo, che aveva ammesso di avere l’orticaria al pensiero di una Ferrari elettrica, a cominciare dal caso Stellantis che in questi giorni sta tenendo occupate le cronache: “Sono molto preoccupato dall’inesorabile deindustrializzazione del Paese, oggi non abbiamo più un’azienda automobilistica in Italia. La verità è che tutte le decisioni che riguardano il mercato italiano sono prese a Parigi. Siamo arrivati a un punto tra l’assurdo e l’umiliante, cioè che una macchina come la 600 venga prodotta in Polonia. Vedere produrre la 600 in Polonia, quando tutti gli stabilimenti ex Fiat sono in cassa integrazione, è una cosa che non mi pare vera”. Meloni ha mandato un sms a Stellantis chiedendo un milione di auto prodotte in Italia, e a riguardo Montezemolo ha spiegato: “La Meloni ha ragione a dire che le auto pubblicizzate come italiane debbano essere prodotte in Italia. Insieme a Germania e forse meglio della Francia, eravamo il Paese che produceva le più belle automobili del mondo. Oggi, visto che è così calata la produzione da quando è entrata in campo Stellantis, facciamo almeno in modo che delle aziende automobilistiche straniere vengano a produrre in Italia. Molti fornitori italiani mi hanno detto di aver ricevuto una lettera in cui si promuoveva il Marocco in termini di investimenti. E’ una brutta cosa. Io credo che in questo momento non abbia senso, avendo stabilimenti e fornitori così di qualità, così validi, che rischiano di andare in grande difficoltà”.

Tavares fa riferimento a tagli in alcuni stabilimenti italiani, Mirafiori e Pomigliano, ma anche Cassino. “Non si possono dare soldi pubblici senza garanzie: ora risposte al Paese. Chiediamo alla presidente del Consiglio un incontro urgente con l’amministratore delegato e le organizzazioni sindacali per garantire la produzione e l’occupazione nel nostro Paese” afferma il segretario generale Fiom-Cgil, Michele De Palma. Anche per il segretario generale della Uil Campania, Giovanni Sgambati, “le dichiarazioni di Tavares non rassicurano le realtà del Mezzogiorno, e soprattutto Pomigliano”.

Carlo Tavares, l’amministratore delegato di Stellantis che ha minacciato la chiusura degli stabilimenti di Mirafiori e Pomigliano se entro breve il governo italiano non metterà mano al portafoglio per sostenere con incentivi più adeguati la produzione di auto elettriche in Italia. La sua non è arroganza ma la determinazione di un capoazienda che sa di muoversi in uno dei settori industriali, l’automotive, tra i più spietati e competitivi, e quindi imbocca le strade che più ritiene convenienti per raggiungere gli scopi aziendali. Certo, il fatto che Stellantis privilegi le produzioni in Francia o nei Paesi satelliti, a scapito di quelle in Italia, ci fa sobbalzare perché ci sentiamo traditi, trattati come una lontana provincia dell’impero quando alla costruzione dell’impero abbiamo partecipato da protagonisti. Ha però poco senso protestare contro le pretese di chi oggi ne è alla guida: piaccia o no, sta facendo ciò per cui è stato chiamato. Né vale entrare nel merito delle sue richieste che, opportune oppure no, verranno certamente respinte al mittente,  nonostante l’incubo dell’avanzata cinese dovrebbe indurre qualche riflessione.

E’ giusto invece interrogarsi su come sia stato possibile che il principale gruppo industriale italiano, che Sergio Marchionne aveva riportato all’onor del mondo sotto il nome di Fiat Chrysler Automobiles (Fca), sia diventato ancella di una società, la francese Peugeot (Psa), le cui condizioni non erano certo migliori. Una domanda che andrebbe rivolta all’azionista John Elkann, che non esitò a chiudere un accordo di vendita a vantaggio soprattutto della sua Exor, incurante del fatto che per l’Italia – dalla quale la Fiat aveva nel corso dei decenni ottenuto molti miliardi di sostegni in varie forme – avrebbe rappresentato una grave perdita di potenza industriale oltre che d’immagine. Al punto che una figura prudente, sia pure schierata, come Romano Prodi non esitò a parlare di «vergognosa svendita». Fu il solo tra i maggiorenti della politica ad alzare la voce. Anzi, Giuseppe Conte, allora premier per la seconda volta, parlò esplicitamente di «grande opportunità per il Paese». E fu proprio il suo governo che nel giugno 2020, alla vigilia della fusione che avrebbe dato vita a Stellantis, autorizzò in ventiquattr’ore l’erogazione di una garanzia di Stato per un finanziamento di 6,3 miliardi concesso da Intesa Sanpaolo.

Potenza delle coincidenze, di lì a poche settimane gli azionisti di Fca riceveranno un dividendo monstre di 5,5 miliardi oltre a una ricca dote in azioni Comau. Perché questo incredibile impoverimento patrimoniale di Fca? Il tutto venne spiegato con un dimagrimento reso necessario affinché la fusione tra Fca e Psa risultasse alla pari. Rivisto oggi il tutto non può non sollevare pesanti curiosità, anche alla luce del fatto che nell’aprile 2020, vale a dire tre mesi prima, Elkann aveva annunciato l’acquisizione del gruppo editoriale Gedi, cui fa capo il quotidiano Repubblica.

Qualche commento  afferma  che non si è trattato di fusione ma si è trattato ma di una vera e propria cessione, e perché stupirsi se i nuovi padroni minacciano la cancellazione di Mirafiori, cuore e storia della gloriosa Fiat? Fiom e Cgil sorvolano su questo ipotetico scambio tentando di capire perchè migliaia di lavoratori  rischiano il posto.

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