Quirinale, Massimo Cacciari vede Mario Draghi fuori dalla corsa al Colle: “Chi sarà eletto”

Massimo Cacciari analizza la votazione in corso per il Quirinale. “La soluzione ideale sarebbe quella del bis di Mattarella con Draghi che resta a Palazzo Chigi. La soluzione più ragionevole, ma anche irrealizzabile visto che la situazione si è ormai incancrenita. Ormai si è quasi ufficialmente espressa la volontà del premier di trasferirsi al Quirinale per diventare presidente della Repubblica. E a questo punto anche le forze politiche che lo voterebbero per il Colle iniziano a mettersi di traverso. Presto Draghi si farà da parte nella partita del Capo dello Stato e andrà avanti con il suo governo con chiunque andrà al Quirinale. Ovviamente, purtroppo, avremo un Presidente di serie B o di serie C. E’ impensabile che questi partiti siano in grado di eleggere un Giuliano Amato o una personalità di grande spicco”, spiega in una intervista a Affaritaliani.it.

“Probabilmente arriveremo all’ennesima vittoria di Pirro di Matteo Renzi, di Pirro perché poi alle elezioni politiche verrà massacrato, con l’elezione di Pierferdinando Casini, vero candidato fin dall’inizio del leader di Italia Viva. Centrosinistra e Centrodestra stanno dimostrando di non essere minimamente coesi al loro interno. La destra perfino peggio della sinistra, ma era impossibile pensare che sarebbero usciti meglio di come sono entrati”.

La scelta spetta a Salvini: la rosa di nomi, destinati a non essere eletti (Pera, Moratti, Nordio) era evidentemente interlocutoria, malgrado il fucile imbracciato dopo la richiesta di vertice della sinistra (“niente veti, sono candidature di spessore”). Preparava il tavolo per la carta che la destra giocherà oggi: accordo oppure guerra con la controparte.

Convitato di pietra Mario Draghi: un nuovo giro di telefonate con i leader non ha portato novità. Per il momento resta fuori dai radar: continua invece a circolare la voce che, se non sale al Colle, è determinato a restare al governo solo con alcuni candidati. Forte cioè il rischio di perderlo sia a Chigi sia al Quirinale. Se Salvini deciderà di cercare l’accordo, punterà probabilmente su Pier Ferdinando Casini.

Il candidato centrista è stato spinto ieri per la prima volta apertamente con determinazione sia da Renzi che da alcune aree del Pd, in particolare quelle che fanno capo a Franceschini e Lotti, con l’intenzione di forzare la mano al segretario. Nessun bisogno di esercitare pressioni su Conte che, a parte il premier, è pronto ad accordarsi quasi su chiunque altro. Ma decide la destra: Forza Italia è orientata favorevolmente, Fd’I è contraria, la Lega è incerta. A parte il suo, altri nomi al momento non sono spuntati. Anche se non è mai troppo tardi. Dall’intesa Salvini uscirebbe bene essendosi imposto come regista di una manovra che ha portato in breve a superare uno scoglio pericoloso e potrebbe rivendicare l’accelerazione impressa con la rosa della destra.

Il leader della Lega potrebbe però puntare i piedi sulla vera candidatura, quella di Elisabetta Casellati, che è stata tolta all’ultimo momento dalla rosa – al pari di Antonio Tajani (FI) – proprio per non bruciarla. Se insisterà su quel nome, come molti nella coalizione gli chiedono, rivendicandone il carattere istituzionale in quanto presidente del Senato, la conta oggi dove il quorum sarà del 51%.  Pallottoliere alla mano, al centrodestra mancano i numeri: possono però contare sui 39 voti andati  a Paolo Maddalena, forse su alcuni dei voti in libertà sparsi nei gruppi misti e soprattutto sperano in un sostegno magari non dichiarato da parte di M5s.

Giochi aperti: la sconfitta della presidente del Senato è tutt’altro che certa. Per Salvini sarebbe una vittoria schiacciante, anche se il prezzo sarebbe la fine del governo – nel vertice di ieri Letta l’ha detto chiaramente agli alleati – l’esplosione della maggioranza e lo scioglimento della legislatura. La sconfitta però sarebbe di portata altrettanto travolgente. Il leader leghista ne uscirebbe demolito e perderebbe le redini della coalizione. Le sole strade aperte a quel punto sarebbero quelle su cui punta dall’inizio Enrico Letta e che al momento sono in fondo al listino delle quotazioni, ma tutt’altro che cancellate: la resurrezione dell’opzione Draghi e ancora più probabilmente il lungo corteo sul Colle per invocare un ripensamento di Sergio Mattarella che a questo punto sicuramente avrebbe la riconferma.

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