Musei italiani poco social. Fb e Twitter usati solo per scaricare materiale

I Musei Vaticani? Spopolano su Fb. Quelli Civici di Venezia (11 sedi con oltre due milioni di visitatori all’anno) hanno iniziato a ‘cinguettare’ nel 2009. Nel 2010 è approdata nella rete media anche la Fondazione Musei Senesi. All’estero tutto è avvenuto con altri numeri e  prima:  il Lacma (Los Angeles country museum of Art), ad esempio,  con il suo milione e 202.654 visitatori annui (49esimo nella classifica  mondiale), creò la sua fanpage nel 2008.  E non è un caso. Sono infatti circa 36,5 milioni, il 60% dell’intera popolazione, gli italiani, che utilizzano i social media. Eppure i musei italiani non sono in grado di sfruttare questo incredibile bacino di utenti in rete, inteso come tutti i social multifunzionali, ossia Facebook, Twitter e Google+, a cui si associano Instagram, Pinterest e YouTube, ovvero quelli ritenuti più efficaci ed utilizzati dai musei. I motivi? La mancanza di competenze professionali specializzate e un’abitudine sclerotizzata a privilegiare la comunicazione tradizionale one way. Fin troppo eloquenti le parole del ministro per i Beni culturali Dario Franceschini: ‘I social network sono un formidabile e gratuito veicolo di promozione dei musei. Ma nel nostro Paese c’è ancora molto da lavorare’. È quanto emerge da #Socialmuseums. Social media e cultura fra post e tweet, il decimo rapporto dell’associazione Civita presentato all’Auditorium dell’Ara Pacis di Roma e incentrato sul rapporto fra istituzioni culturali e social media.  Secondo l’indagine condotta con Unicab, l’utilizzo delle piattaforme social, come mezzo per entrare in relazione con i propri pubblici o per attrarre visitatori, non costituisce ancora, per i musei italiani, un obiettivo strategico e rilevante. Alla base di questa scelta c’è una scarsa conoscenza delle effettive potenzialità dei social, dovuta alla poca esperienza finora accumulata e alla difficoltà di associare una piattaforma ad obiettivi specifici. Ovviamente fanno eccezione i musei d’arte contemporanea, capaci, al contrario, di richiamare non solo i giovani nativi digitali, ma anche un pubblico più trasversale e meno assiduo. Ma il linguaggio impiegato nella comunicazione dei musei sui social media spesso non è inclusivo e risulta inadatto a un’audience digitale. 

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