Le primarie del Pd e la nuova segreteria Schlein

Poteva votare alle Primarie anche chi non è iscritto al Pd, firmando una dichiarazione di sostegno al Pd e versando un contributo di 2 euro. E sono stati proprio loro, i “non iscritti”, a favorire il ribaltone che vede Elly Schlein in testa.

“Un vantaggio difficile da colmare”,  sottolineavano a tarda sera, al Comitato Schlein, dove continuavano ad arrivare i risultati dei gazebo che sancivano la clamorosa vittoria della Schlein. I responsabili della mozione della candidata dem stanno verificando i voti città per città, ma ormai arrivano dati che indicavano un trend costante: a Roma, Milano, Napoli e Bologna la Schlein ha vinto o stravinto. Così in Liguria e in 14 regioni è avanti alle undici di sera, con lo scrutinio ancora in corso.

Un milione e trecentomila persone ai gazebo

I dati dell’affluenza ai gazebo sono stati nettamente inferiori agli anni passati, ma soddisfacenti per la classe dirigente del Pd. Nel 2019, quando venne eletto Nicola Zingaretti, andò ai gazebo oltre un milione e mezzo di persone. Nei giorni scorsi, i due candidati avevano detto di auspicare che stavolta si arrivasse al milione e il limite, in effetti, è stato superato: un milione e trecentomila. Dall’esordio delle primarie che risale all’autunno di sedici anni fa (2007), gli otto segretari del Pd (non tutti passati attraverso le primarie) si sono sempre dimessi prima della scadenza del mandato e l’affluenza è andata calando: dai 3,5 milioni del debutto a 1,6 milioni del 2019.

Il voto nei circoli che si era svolti dal 3 al 19 febbraio aveva indicato chi fra i quattro candidati – oltre a Bonaccini, Schlein, Gianni Cuperlo e Paola De Micheli – dovesse andare al ballottaggio di domenica. In quella prima fase, Bonaccini aveva raccolto il 52,9% (79.787 voti), Schlein il 34,9% (52.637 voti), Gianni Cuperlo l’8% (12.008 voti) e Paola De Micheli il 4,3% (6.475 voti).

Alla sezione Pd di Testaccio c’era appeso uno striscione ‘Grazie Enrico. Pd Testaccio’. Un grande lenzuolo bianco, la scritta rossa ad accogliere il segretario uscente, Enrico Letta. “Io esco di scena e lo faccio contento dopo questa giornata di festa e di democrazia”, ha detto ai cronisti rivendicando anche la correttezza del percorso scelto, confermata da una partecipazione che sembra andare oltre le aspettative. “Una grande festa della democrazia, un grande successo di partecipazione. Supereremo ampiamente il milione. Un grande segno di successo e soddisfazione è vedere che il percorso per arrivare alle primarie è stato quello giusto, nonostante tante critiche: troppo lento, troppo lungo, troppo corto. Io penso sia stato giusto. Non sarebbe stato giusto farlo subito, a botta calda, dopo le politiche. Ora invece ci sono le condizioni per ripartire”.

Elly Schlein l’aveva detto al con una sicurezza impressionante — «sono convinta di vincere» —; ma ci credevano in pochi, oltre a lei e al suo mentore Franceschini («una come Elly nasce ogni dieci anni»). Il risultato dell’ultima piovosa domenica di febbraio è un cataclisma nella sinistra italiana. Non soltanto si sono espressi più elettori del previsto; non soltanto hanno spazzato via sondaggi e pronostici; hanno ribaltato pure il voto degli iscritti, che aveva nettamente premiato . A guardare la vittoria di Elly Schlein con gli occhiali della politica, la si potrebbe definire un regalo a Renzi e Calenda, che erano finiti in un angolo dopo il flop della Moratti e ora esultano: il voto palesemente antirenziano di ieri apre spazio al centro e quindi all’odiato Renzi. Neppure Giorgia Meloni è dispiaciuta: il presidente dell’Emilia Romagna appariva un avversario più solido e sperimentato di una giovane priva di esperienza amministrativa. Eppure mai come stavolta a guardare la vittoria della Schlein con gli occhiali della politica si rischia di non capire nulla. Il segno del nostro tempo è la rivolta contro l’establishment, il sistema, e tutto quanto è percepito come «vecchio». Certo, la Schlein era sostenuta da una parte della nomenklatura del Pd, a cominciare appunto da Franceschini. Ma rispetto al figlio del partito, al «comunista emiliano» Bonaccini, una giovane donna che al Pd sino a poco fa non era neppure iscritta ha rappresentato il Nuovo. Una scelta radicale, che la base ha fatto d’istinto più che con il ragionamento, pensando di non avere nulla da perdere. La svolta è venuta dalle grandi città, e rispecchia il cambiamento sociale della sinistra italiana. Il Pd non è più il partito delle coop, dell’asse tosco-emiliano, degli artigiani rossi. È un partito di borghesia metropolitana, attento ai diritti civili, alle ragioni della piazza e dei movimenti, dalle Sardine agli «antifa». Elettori che , e che non hanno perdonato a Bonaccini le parole con cui riconosceva alla Meloni una certa capacità. Elettori che hanno scoperto la Schlein alla vigilia delle elezioni del 25 settembre, quando alla nota rivendicazione di identità della Meloni – «io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono cristiana…» – ha contrapposto la propria rivendicazione di identità: «Sono una donna, amo una donna, non sono madre, ma non sono meno donna per questo». Ora può succedere di tutto. Che il partito si ricompatti, o che i centristi ex renziani raggiungano il loro vecchio capo. Che il Pd ribadisca la linea filo-ucraina o la ammorbidisca. Che il rapporto con i Cinque Stelle rinasca o che aumenti la competizione a sinistra. Che gli elettori liberali, moderati, cattolici guardino altrove o che la nuova segretaria sappia avvicinare alla politica una nuova generazione, che in parte si è mossa – per la prima volta – già ieri. L’esperienza del passato è che non esiste un posto più precario della segreteria del Pd. Eppure una segretaria come Elly Schlein il partito non l’ha mai avuta; e non solo perché non ha mai avuto una leader donna. Finora il Pd è stato retto da ex democristiani — il padre fondatore Prodi, il suo figlio politico Enrico Letta, il rottamatore Renzi, lo stesso Franceschini — o da uomini formatisi nel Pci ma navigatori di lungo corso, ben noti all’opinione pubblica, non esattamente percepiti come radicali, da Veltroni a Zingaretti passando per Bersani. Elly Schlein è una novità e un esperimento. Se la gente percepirà che dietro di lei ci sono i soliti, non sarà una novità e non sarà un esperimento lungo. Lo stesso accadrà se la forte carica ideale che la anima assumerà un carattere ideologico distante dalla realtà, se la nuova leader si rivolgerà al Paese come vorrebbe che fosse, non come è. Eppure è possibile anche che Elly Schlein sia destinata a sorprendere ancora una volta.

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