La strategia di ‘Super Mario’ premier, per una ‘Supersfida’ politica contro la crisi

Con la nomina di Mario Draghi come presidente del Consiglio, sono in tanti a temere un governo tecnico  che possa risanare i debiti causati dall’emergenza sanitaria e dalla sua gestione ma allo stesso tempo imporre sacrifici ai cittadini, memori dell’esperienza con l’esecutivo di esperti guidato da Mario Monti. Entrambi accomunati dal nome di battesimo e dalla specializzazione in economia, che li ha portati alla docenza e a ricoprire cariche molto importanti a livello istituzionale anche all’estero, i due Mario tecnici non condividerebbero però la teoria dell’austerity.

In due interventi molto recenti che riguardano la pandemia di Covid-19 e i danni economici che ne sono derivati, Mario Draghi ha più volte ribadito la necessità di non fare tagli e aumentare la spesa pubblica, abbassando le tasse, aumentando i sussidi a lavoratori e imprese, e investendo sui giovani.

In un editoriale apparso a marzo sul Financial Times, il nuovo presidente del Consiglio scriveva che “la pandemia di coronavirus è una tragedia umana di proporzioni potenzialmente bibliche. Molte persone, oggi, vivono nel timore per la propria vita o sono in lutto per i propri cari. Le azioni che i governi stanno intraprendendo per scongiurare la crisi dei loro sistemi sanitari sono coraggiose e necessarie, e devono essere sostenute”.

“Tuttavia, queste azioni comportano anche enormi e inevitabili costi economici. Molte persone rischiano la vita, e molte di più rischiano di perdere le loro fonti di sostentamento. Sul fronte economico le notizie peggiorano di giorno in giorno. Le aziende di tutti i settori si trovano ad affrontare un crollo degli introiti, e molte si stanno già ridimensionando e licenziando lavoratori. È inevitabile una profonda recessione”.

La sfida per Mario Draghi, dunque, era e rimane quella di continuare a sostenere i cittadini in difficoltà. “Livelli di debito pubblico molto più elevati diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie e andranno di pari passo con misure di cancellazione del debito privato. Il ruolo dello Stato è proprio quello di usare il bilancio per proteggere i cittadini e l’economia dagli shock di cui il settore privato non è responsabile e che non può assorbire. Gli Stati lo hanno sempre fatto durante le emergenze nazionali. Le guerre, il precedente più rilevante, sono state finanziate con l’aumento del debito pubblico”, scriveva Mario Draghi sul Financial Times.

“Durante la Prima guerra mondiale, solo una quota compresa tra il 6% e il 15% della spesa bellica di Italia e Germania è stata finanziata con le tasse, mentre in Austria-Ungheria, Russia e Francia non si è mai attinto alle tasse per pagare gli ingenti costi della guerra. Anni di guerra e di leva obbligatoria hanno eroso la base fiscale di tutti i Paesi del mondo. Oggi”, con l’emergenza coronavirus, “la stessa cosa sta accadendo per la pandemia e per il conseguente blocco di molti Paesi”.

“La questione fondamentale non è se, ma in che modo lo Stato possa fare buon uso del suo bilancio. La priorità, infatti, non deve essere solo fornire un reddito di base a chi perde il lavoro, ma si devono innanzitutto proteggere le persone dal rischio di perdere il lavoro. Se non lo faremo, usciremo da questa crisi con un’occupazione e una capacità produttiva danneggiate in modo permanente, ma le famiglie e le aziende faticheranno a riassestare i bilanci e a ricostruire patrimonio netto”.

“I sussidi di occupazione e di disoccupazione e il rinvio delle scadenze per le imposte sono passi importanti che sono già stati introdotti da molti governi. Ma proteggere l’occupazione e la capacità produttiva in un momento di drammatica perdita di guadagni richiede un sostegno immediato in termini di liquidità. È un passo essenziale per tutte le aziende, per poter coprire le spese di gestione durante la crisi, sia per le grandi sia, ancor di più, per le piccole e medie imprese, per i lavoratori e imprenditori autonomi. Diversi governi hanno già introdotto misure positive per incanalare la liquidità verso le imprese in difficoltà, ma serve un approccio più globale”.

L’idea dell’economista, quella di un “debito buono“, che potrebbe diventare parte integrante del suo programma di governo anche grazie al  Recovery fund, sarebbe quella di far intervenire lo Stato per evitare ai cittadini di far perdere il lavoro, attraverso sussidi e la cancellazione dei debiti privati, potenziando le misure già messe in atto dal governo Conte bis.

In occasione del 41esimo Meeting di Rimini di Comunione e Liberazione, lo scorso agosto, Draghi aveva inoltre sottolineato la necessità di investire nell’ambito dell’istruzione. “Se guardiamo alle culture e alle nazioni che meglio hanno gestito l’incertezza e la necessità del cambiamento hanno tutte assegnato all’educazione il ruolo fondamentale nel preparare i giovani a gestire il cambiamento e l’incertezza nei loro percorsi di vita, con saggezza e indipendenza di giudizio”.

“Ma c’è anche una ragione morale che deve spingerci a questa scelta e a farlo bene. Il debito creato con la pandemia è senza precedenti e dovrà essere ripagato principalmente da coloro che sono oggi i giovani. È nostro dovere far sì che abbiano tutti gli strumenti per farlo pur vivendo in società migliori delle nostre”.

“Per anni una forma di egoismo collettivo ha indotto i governi a distrarre capacità umane e altre risorse in favore di obiettivi con più certo e immediato ritorno politico. Ciò non è più accettabile oggi. Privare un giovane del futuro è una delle forme più gravi di diseguaglianza“, aveva spiegato Mario Draghi  a Rimini, parlando anche della necessità di dare un’accelerata al processo di digitalizzazione del Paese.

Non solo lotta alla pandemia, vaccini e tenuta sociale, con lo snodo critico della fine del blocco dei licenziamenti, come indicato dal Presidente della Repubblica. Mario Draghi, qualora dovesse formare un suo governo, si troverebbe sul tavolo anche altri e complessi dossier. Si tratta di una lunga lista di questioni cruciali lasciati irrisolte dal governo Conte, tra lotte interne e incapacità: dalla Rete unica, all’Ilva, da Alitalia, ad Autostrade, fino al tasto delicatissimo delle nomine.

Anche su questo terreno si dovrà misurare, eventualmente, il presidente incaricato, che per ovvie ragioni nel suo breve discorso dopo l’incontro con Mattarella si è limitato a riepilogare gli obiettivi immediati elencati dal capo dello Stato, aggiungendo di suo solo il riferimento a Recovery Plan, con il richiamo “al futuro delle giovani generazioni e al rafforzamento della coesione sociale“. Questioni che, però, si giocano non solo sulle “risorse straordinarie dell’Ue”, ma anche sui nostri asset strategici interni.

Fra i dossier più spinosi c’è certamente Alitalia, che continua a subire perdite esorbitanti, al punto che anche gli stipendi sono a rischio. Il nuovo piano industriale di Ita è all’esame delle Commissioni competenti di Camera e Senato, che sono chiamate a esprimere il loro parere motivato anche se non vincolante. Ma a preoccupare è soprattutto Bruxelles, che invece ha parere vincolante e chiede una netta discontinuità con la compagnia precedente.

C’è poi il tema della Rete Unica, che incrocia quello del Recovery plan. Dovrebbe arrivare a compimento quest’anno, ma si tratta di una complicatissima vicenda di incroci industriali e volontà politiche, che finora ha risentito di diktat e veti di Pd e M5S. Bisognerà vedere se il governo che verrà riuscirà a districarcisi.

Nodo ex Ilva. L’accordo di coinvestimento tra Invitalia e A.Mittal, che ha avuto anche il benestare dell’Antitrust europeo, dovrebbe aver reso meno complicata la situazione delle acciaierie, che finalmente è approdata a un piano industriale. Peccato che Invitalia, il cui Ad è il super commissario Domenico Arcuri, a quanto risulta non abbia ancora sbloccato i 400 milioni con cui dovrebbe acquisire il 50% del capitale di Am. Invest.co, così resta ancora sospesa l’integrazione salariale alla Cig di 1.600 lavoratori e langue l’accordo con i sindacati sul piano industriale. Dopo un primo incontro tra Mittal e Fim Fiom Uilm Usb e Ugl infatti, non ha fatto seguito nulla, così come più nulla è arrivato dal governo e dal Mise.

Infine, Draghi dovrà misurarsi il dossier nomine. Secondo i calcoli del centro studi Comar, da qui a primavera inoltrata, nelle società pubbliche si libereranno più di 550 poltrone, tra nomine già scadute o che termineranno con l’approvazione dei bilanci 2020. I posti sono così ripartiti: più di 360 incarichi nelle più importanti controllate dirette del ministero dell’Economia, tra Cda e collegi sindacali; 190 posti nei Cda che saranno vacanti in primavera, archiviata l’approvazione del bilancio 2020. In prima fila ci sono Cassa Depositi e Prestiti, Fs Spa, Saipem, l’immobiliare pubblica Invimit, la società informatica Sogei e il Gse (Gestore servizi energetici). Poi, ci sono le controllate di Enel, Eni, Poste e Leonardo, Invitalia e Sport e Salute. Insomma, una partita che promette di essere forse più spinosa delle altre.

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