Governo Meloni e trivelle: i no di ministri e governatori

È arrivata la tanto annunciata norma che sblocca le trivelle. All’interno del nuovo decreto Aiuti quater, il governo Meloni ha previsto infatti il rilascio di nuove concessioni di coltivazione di idrocarburi nelle zone di mare che si trovano tra le 9 e le 12 miglia dalle linee di costa e dal perimetro esterno delle aree marine e dalle aree costiere protette, in deroga al decreto legislativo del 2006 (che invece impediva l’inizio di nuove attività in materia di idrocarburi nelle aree marine protette e nelle 12 miglia da dette aree alla costa).

La misura, che ha come obiettivo quello di incrementare la produzione nazionale di gas naturale, è limitata solo ai siti aventi un potenziale minerario di gas per un quantitativo di riserva certa superiore a una soglia di 500 milioni di metri cubi. Inoltre le nuove concessioni riguarderanno solo le imprese che aderiranno al sostegno dei clienti finali industriali energivori. I fornitori potranno accedervi, cioè, solo a patto di abbassare le tariffe per le imprese che consumano più gas.

Sarà possibile estrarre idrocarburi dai pozzi in un tratto di mare compreso tra il 45esimo parallelo e il parallelo passante per la foce del ramo di Goro del fiume Po. Si stima una quantità di 15 miliardi di metri cubi sfruttabili nell’arco dei prossimi dieci anni. Tornano dunque le trivelle in Italia, ma l’argomento è particolarmente spinoso per lo stesso Esecutivo, con personalità vicine alla premier e alcuni presidenti di Regione che si sono detti fermamente contrari.

Il veneto Luca Zaia si schiera contro le trivelle volute dal governo Meloni

Luca Zaia, governatore della Regione Veneto, ha dichiarato  che, nonostante la partita delle trivelle sia stata autorizzata a livello nazionale e sia una regola che vale per tutta la Penisola, manterrà ferma la sua “posizione critica per il no”, considerando anche il sostegno dato al referendum del 2016 che prevedeva l’abrogazione della proroga delle concessioni fino all’esaurimento dei giacimenti.

Quel referendum fu appoggiato anche dalla Lega e da Fratelli d’Italia, che si schierarono per il sì, e quindi contro le trivelle. “La comunità scientifica si è espressa negativamente”, ha dichiarato ancora Luca Zaia sul via libera alle perforazioni nel Delta del Po. Sottolineando che sarà necessario trovare altri percorsi alternativi che possano evitare la subsidenza, cioè lo sprofondamento del fondo marino, che in quelle aree ha raggiunto, stando a quanto comunicato dal presidente di Regione, i 4 metri.

Anche il ministro Calderoli dice no, dura la risposta del ministro Urso

La posizione di Luca Zaia è condivisa da un esponente del Governo, ovvero dal ministro Roberto Calderoli, numero uno del Dipartimento degli Affari regionali e delle Autonomie. Entrando a Palazzo Chigi per discutere gli emendamenti al dl Aiuti quater, infatti, ha dichiarato davanti ai cronisti di condividere “pienamente” quanto dichiarato dal collega di partito.

Adolfo Urso, ministro dello Sviluppo economico in quota Fratelli d’Italia, ha replicato al governatore veneto e alle tante voci contrarie alle trivelle della Lega, spiegando che la sua regione otterrebbe un beneficio dal provvedimento. Il tentativo di sedare gli animi potrebbe non riuscire a lungo termine, se il Carroccio dovesse decidere di abbracciare la posizione dei suoi più illustri esponenti.

E a un’eventuale opposizione potrebbe accodarsi anche Forza Italia, considerando che dai territori si stanno levando le voci di sindaci e governatori appartenenti a tutti gli schieramenti politici, che chiedono all’Esecutivo di fare marcia indietro.

Michele Emiliano contro le trivelle: interferenza con i parchi eolici in Puglia

Il decreto sblocca trivelle è “una grave interferenza, molto grave, con i parchi eolici, che sono stati considerati strategici dal Governo”, ha dichiarato Michele Emiliano, presidente della Regione Puglia. Sulle pagine del Corriere della Sera ha dichiarato che l’Esecutivo “ci deve dire se quelle aree sono destinate alla prospezione, quindi alla ricerca di nuovi pozzi e giacimenti, oppure se bisogna fare i parchi eolici”.

Ha sottolineato che si è determinata una gran confusione nel passaggio tra il governo Draghi e il governo Meloni, e per questo la Puglia vuole ora sapere “qual è la priorità“. Etichettando l’idea della nuova premier come “inutile e non sostenibile”.

Ha spiegato infatti che, anche se dovessimo estrarre tutto il gas disponibile nel Mare Adriatico, potremmo soddisfare tra molti anni “non più del 5% o del 6% del fabbisogno nazionale, con danni sia all’energia alternativa”, dunque quella proveniente dalle pale eoliche, “sia al fondale marino, molto gravi“. Ha poi concluso: “Non so se il gioco vale la candela”.

Stefano Bonaccini contro le trivelle: “No a nuove concessioni in Emilia”

Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia Romagna, ha dichiarato a Today che al momento non sono stati richiesti rilasci all’amministrazione per nuove concessioni. “Siamo favorevoli alla ripresa delle estrazioni per le concessioni già esistenti“, ma non a “nuovi rilasci a terra”. Per quanto riguarda il mare aperto, invece, la competenza è del Governo.

La compagine di Giorgia Meloni “ha fatto molti annunci” e solo quando ci sarà “qualcosa di concreto su cui lavorare”, ha precisato il presidente di Regione, ci sarà massima disponibilità al confronto. Voci non confermate parlando della possibilità che sorgano tre nuove piattaforme a Nord della costa del Ravennate.

Le associazioni ambientaliste contro Meloni e le trivelle: il comunicato

WWF, Greenpeace e Legambiente, in un comunicato congiunto, hanno sottolineato che le motivazioni alla base della decretazione di urgenza relativa alla sicurezza degli approvvigionamenti “sono inconsistenti”, considerando che il nostro fabbisogno annuale di gas si aggira attorno ai 76 miliardi di metri cubi e che la produzione annuale di gas nazionale pesa tra i 3 e i 5 miliardi di metri cubi all’anno. Secondo le stime del Governo, con il dl Aiuti quater si sbloccheranno fino a un massimo di 1,5 miliardi di metri cubi all’anno per dieci anni, equivalenti dunque all’1,9% del fabbisogno nazionale.

“Aumentare le trivellazioni in mare significa aggravare la crisi climatica“, sottolineano le associazioni, rimarcando come la premier Giorgia Meloni abbia riconosciuto il problema e si sia impegnata a combatterlo nel discorso fatto alla Cop27 di Sharm el-Sheikh.

Tornare alle trivelle significa perseverare nello “stesso identico modello energetico” che ha prodotto l’attuale “crisi energetica e climatica”, comportando “insicurezza, sofferenze e perdite economiche” per le italiane e gli italiani. Situazione drammatica da risolvere attraverso il ricorso, propongono, a fonti rinnovabili, risparmio, efficienza energetica, sviluppo tecnologico e creazione di nuovi posti di lavoro per la transizione energetica.

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