Elly Schlein e i trentuno esponenti liguri del PD che sono passati con  Azione

Innanzitutto il passaggio su un congresso che avrebbe stravolto la volontà degli iscritti, a favore di quella del popolo dei gazebo. “Noi abbiamo svolto un congresso dopo una sconfitta molto dura alle elezioni politiche”, rimarca Schlein per poi accennare al congresso costituente che ha fatto seguito alle elezioni politiche perse: “Molti commentatori parlavano di fine del Pd. Così non è stato perché abbiamo fatto un confronto vero. Questo è il segno di un partito vitale, tutt’altro che morto”.

E se i fuoriusciti lamentano la nascita di “un nuovo Partito con una netta svolta a sinistra, in cui viene sostanzialmente negato il processo articolato e faticoso, anche contraddittorio, del riformismo messo in campo negli ultimi dieci anni”, Schlein risponde netta: “Quando qualcuno decide di andare via è sempre un dispiacere, ma se qualcuno non vuole un Pd che si batte per un lavoro di qualità, forse l’indirizzo era sbagliato prima. Se il Pd avesse fatto tutto bene in questi anni, una come me non avrebbe mai vinto il congresso: Il cambiamento incontra sempre resistenze”. Quel cambiamento in nome del quale la segretaria ha tenuto alla larga gli esponenti storici del partito, durante la corsa al Nazareno, ma anche dopo, con la formazione della segreteria.

Ed è stato proprio l’esecutivo dem a trazione schleniana a segnare un primo ‘strappo’ tra la vecchia guardia – non solo quella che aveva sostenuto Bonaccini – e il nuovo corso. Una strategia che i due concorrenti al congresso hanno ampiamente condiviso. Così come hanno condiviso la necessità di una “gestione plurale” rimasta, per la minoranza interna sulla carta.

Bonaccini, che Schlein ha voluto presidente del partito, stigmatizza la scelta di lasciare il partito, ma mette anche in guardia – e in tal modo sembra lanciare una nuova accusa – la segretaria e lo stato maggiore dem dalla tentazione massimalista che condannerebbe il Pd ad essere ininfluente: “Sbaglia chi lascia il partito, ma si torni subito a una vocazione maggioritaria. Un Pd piccolo e radicale non serve. Credo che ci sia bisogno di tutto fuorché di questo. Rispetto le scelte di tutti, ma non condivido. Detto questo “è essenziale che il Pd recuperi rapidamente la propria vocazione maggioritaria: abbiamo bisogno di un partito più grande ed espansivo che punti a tornare al governo, non di un partito più piccolo e radicale. Credo che Elly sia la prima a doversi e volersi fare carico di questo”.

«Non ho parlato di espansione del Pd quando la settimana scorsa è entrato un parlamentare, ora non parlerei di fuga per gli esponenti liguri passati ad Azione, anche se ogni defezione è un danno su cui bisogna riflettere e in questo caso non è una novità, si chiama trasformismo». Andrea Orlando, 54 anni, deputato del Pd ed ex ministro del Lavoro e della Giustizia, si ferma tra i tavoli della Festa dell’Unità di Torino per rispondere alle domande. Qualche giorno fa il presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini  ha ricordato che Elly Schlein ha vinto la corsa alla segreteria grazie al sostegno della nomenclatura del partito, e Orlando replica: “Bonaccini è presidente del Pd, se vuole aiutarla ha tutti gli strumenti per farlo e credo che ciascuno di noi lo debba fare. Che peró la nomenclatura del Pd abbia sostenuto Schlein è un’affermazione un po’ populista e francamente non me l’aspetterei da uno come Stefano che ha fatto della lotta al populismo il suo cavallo di battaglia. Ognuno di noi deve contribuire alla preparazione delle Europee offrendo argomenti”.

La truppa dei transfughi è composta da eletti ed ex eletti in Regione e Comune, dirigenti locali e candidati. Tutti ‘traslocati’ in Azione perché, spiegano, “il Partito Democratico ha consumato lo scopo per cui era nato: fare sintesi e costruire una nuova grande forza politica che riunisse gli storici riformismi italiani”. L’elenco è nutrito e così composto: Michela Alessio (direzione provinciale PD, consigliera municipale) Manuel Aragundi (consigliere municipale) Dario Bagnasco ( candidato lista PD) Maria Luisa Belgrano (direzione provinciale PD, gia’ consigliere municipale) Carlo Berrino (assemblea regionale PD) Laura Boldi (candidata lista PD) Pasqualina Calisi (assemblea regionale PD, segreteria provinciale PD) Maria Luisa Centofanti (assemblea provinciale e regionale PD, già assessore municipio), Massimiliano Marotta (consigliere municipale) Monita De Ambrosi (candidata lista PD) Rita De Plano (assemblea provinciale PD) Fabio Ferrari (candidato lista PD) Nicola Fonsa (assemblea provinciale PD, candidato liste PD), Giovanni Inguglia (assemblea regionale PD, candidato lista PD) Paolo Insogna (candidato lista PD) Cristina Lodi (assemblea nazionale PD, consigliera comunale) Maria Antonietta Menchise (assemblea regionale) Antonio Marani (gia’ assessore di Municipio) Fabrizio Maranini (direzione provinciale PD, candidato lista PD) Domenico Morabito (consigliere municipale ) Aldo Moretti (assemblea regionale PD) Paolo Ottonello (ex sindaco di Masone) Paola Perfumo (consigliera municipale) Marco Pinna (già consigliere municipale) Antonio Revello (assemblea regionale PD, gia’ assessore Camogli) Sergio Rossetti (consigliere regionale) Patricia Rossi Rodriguez (assemblea provinciale PD) Antonella Rossini (assemblea provinciale PD) Giovanni Sacco (candidato lista PD) Rinaldo Sironi (commissione di garanzia regionale PD) Michele Versace (consigliere municipale).

I malumori partono da lontano, da prima ancora dell’elezione di Elly Schlein, quando la costituente Pd insediata sotto la segreteria di Enrico Letta prese in esame lo statuto del 2007, per riformarlo alla luce dei cambiamenti economici, sociali e politici degli ultimi 15 anni. È infatti “la messa in discussione del Manifesto del 2007”, per i trasfughi liguri, a segnare “in modo netto” e a “legittimare il cambiamento, il superamento dell’obiettivo storico del Pd e fa nascere una nuova stagione”.

Assieme a questo, il malumore per aver visto ribaltare la volontà degli iscritti, che votarono in maggioranza (53 per cento) per eleggere segretario Stefano Bonaccini, dal popolo dei gazebo, che invece ha affidato il Nazareno a Elly Schlein: “L’unica regione in cui gli iscritti hanno votato come il popolo delle primarie e’ la Liguria”.

“Noi rispondiamo all’irresponsabilità con la responsabilità”, è il messaggio che arriva dalla minoranza: “Non commentiamo,  c’e’ la festa dell’Unita’, facciamo passare qualche ora, qualche giorno”. Tuttavia, quello che viene considerato uno strappo della segretaria “merita una riflessione profonda. Non si può commentare a caldo una cosa tanto grave. Anche perché Schlein, se crede che la direzione tenuta dal partito prima di lei fosse sbagliata, forse dovrebbe chiederne conto a chi l’ha sostenuta al congresso”.

Stupore anche da pezzi della sinistra non allineati alla segretaria: “Si e’ asserragliata con i suoi, sembra Occupy Pd”, si osserva con ironia. Il riferimento e’ alla Schlein pre congresso, quella piu’ movimentista che nel 2013 si fece leader di Occupy Pd, movimento nato contro i 101 franchi tiratori che in Parlamento fermarono l’elezione di Romani Prodi al Quirinale. In questo caso, il termine è usato in senso letterale e tradisce un certo malumore per lo spoil system messo in atto dalla leader all’arrivo al Nazareno. In segreteria, Schlein, ha scelto donne e uomini di sua fiducia, dalla onnipresente Marta Bonafoni (era al fianco della segretaria anche oggi, alla Festa del Fatto Quotidiano) a Igor Taruffi, ex Sinistra Italiana e già braccio destro di Schlein in giunta dell’Emilia-Romagna. I timore dei big del partito, ora, è che lo schema possa ripetersi anche con le liste per le europee.

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