Al Vascello si ride con angoscia

Fino 6 marzo al Vascello di Roma é in scena “Le sedie” di Eugène Ionesco, uno dei grandi autori del Teatro dell’Assurdo, con la regia di Valerio Binasco che per la seconda volta affonta  l’autore franco-rumeno.
“Le sedie”(Les Chaises), opera scritta nel 1952 dal drammaturgo, é una farsa tragica che in Italia fu rappresentata per la prima volta nel 1956 al Teatto Piccolo di Milano e che ora é riproposta alla black box del quartiere Monte Verde.
L’opera é di un’attualitá spiccata, di questi periodi bellici post pandemuci: incomunicabilitá, isolamento e accenni alla guerra.
Due i protagonisti, unici personaggi in carne ed ossa in scena: sono il Vecchio e la Vecchia. Li vediamo mentre attendono in una grande sala della loro casa degli invitati; i loro opiti sono amici, conoscenti, ma fra di loro anche qualche “imbucato”. Sono tutti lí chiamati per ascoltare una conferenza. Per l’occasione cosí desiderata e programmata, é stato invitato a parlare un  oratore, per Il Vecchio, al suo posto. Nel mentre che si declami il messaggio fondamentale, il Vecchio e la Vecchia, circondati dal vuoto e da sedie, disvelano la triste quotidianeitá della reiterazione eterna, fatta di illusioni, delirio, fallimento.
Delle parole a volte ne sfugge il suono, a volte il senso perché una mancanza di comunicazione avviluppa la coppia e gli individui medesimi. È una disperazione comica quella che ci propina Ionesco, é quella di tutti giorni e di molte dinamiche relazionali; nell’inconprensibile tutto si fa chiaro e, come nella matematica per assurdo, i conti tornano.
I coniugi stanno insieme da sempre. Lei ha un nome, lui la chiama Semiramide. Di lui invece non sappiamo il nome. Nell’incomunicabilita si percepisce comunque anche l’amore che ancora li lega, l’ammirazione dell’una per l’altro e dell’uno per l’altra. L’incomunicabilità è quella di loro due verso il mondo esterno, verso i fantasmi che accolgono in casa e con cui intrattengono discorsi di circostanza.
Lo spettatore riesce ad afferrare ogni sfumatura dell’intenzione della parola, ridendo con angoscia. Ridendo anche per paura, di rivedere se stessi dentro quelle due maschere, di rivedere le proprie di interazioni.
Con la traduzione di Gian Renzo Morteo, Binasco tratta con cura il testo che affida ai corpi e alle voci di Michele Di Mauro e Federica Fracassi. Sono polverosi come i costumi ideati da Alessio Rosati e come fantasmi si aggirano nello spazio scenico, zoppicando per una zoppia esistenziale più che ortopedica. Gli attori che si sono cimentati in questo difficile testo, lavorano in forte ascolto, muovendosi anchilosatamente tra le sedie ed i vani sforzi di mascherare il fallimento della loro vita.
Per questa interpretazione Federica Fracassi ha vinto lo scorso anno il premio “Le maschere del teatro italiano”  come migliore attrice protagonista, invece il Premio Ubu 2020-2021 come miglior scenografia è stato assegnato a Nicolas Bovey che ha firmato le scene, un’istallazione artistica, opera nell’opera.
La pièce tocca ora la Capitale, proseguendo il tour che finirá in maggio a Ravenna, passando per Napoli, Genova, Modena, Milano ed altre cittá.
Barbara Lalle

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