Pd, tra Renzi e Bersani

L’affondo di Pier Luigi Bersani arriva ieri nel pomeriggio.  Le parole dell’ex segretario infatti sembrano certificare la nascita di una nuova maggioranza nel Pd. Il partito rimane dilaniato certo, ma non sembra più in mano all’ex sindaco di Firenze. Sono, del resto, quelle di Bersani parole chiare e definitive: ‘Io sono per il voto nel 2018. Sono perchè il governo governi, visto che i problemi di questo Paese sono tanti, a partire da lavoro e voucher. Di qui a giugno, poi, si faccia la legge elettorale e a giugno si parta con il congresso. E’ arrivato il momento di dire una cosa chiara: che cosa vogliamo fare? Una classe dirigente ha il dovere di dire cosa vuol fare. Basta con i giochetti, basta con gli indovinelli. Abbiamo un Paese da governare, possiamo fare questi giochini qui? Ai cittadini sembra che stiamo in un sovramondo. Dobbiamo tornare con i piedi per terra e dire parole chiare, dire quando si vota e dire al Paese e all’Europa cosa si fa, serve un soprassalto di responsabilità’. In pratica vengono chieste le dimissioni di Renza da segretario del Pd. Un nuovo patto che, tramite anche l’endorsement arrivato da  Dario Franceschini, avrebbe individuato in Andrea Orlando, attuale Guardasigilli, il sostituto ideale di Renzi. Sulla stessa lunghezza d’onda i 41 senatori del Pd che hanno firmato un documento trasversale, con cui blindano il governo Gentiloni, dicono no alla scissione e chiedono a Renzi un tempo ragionevole per rimettere in piedi il Pd. Promosso da Vannino Chiti, il testo è stato sottoscritto da bersaniani, franceschiniani, indipendenti e dai ‘turchi’ che si riconoscono nel ministro Orlando. Renzi, dal canto suo, si starebbe convincendo che le elezioni scivoleranno all’anno prossimo e che bisogna attrezzarsi per la battaglia interna. La nuova mossa che l’ex premier sta valutando è anticipare il congresso, facendolo partire prima delle amministrative. Se la linea sarà confermata, Renzi potrebbe presentare le sue dimissioni da segretario già lunedì, davanti alla direzione. Per quanto previsto dallo Statuto, il passo indietro farebbe deflagrare gli umori delle correnti e spiazzerebbe la minoranza. Il timing di Bersani infatti non prevede accelerazioni, per lui il treno del congresso deve partire a giugno e arrivare entro l’anno, nei tempi previsti.  Di diverso parere è Rosato, convinto che lunedì il segretario farà di tutto per ricucire, così che ognuno si senta a casa nel Pd. Tra l’altro, Orlando smentisce di voler soffiare il partito a Renzi:  ‘Fandonie’. Anche Franceschini scaccia i sospetti. Una secca risposta in merito arriva da Graziano Delrio: ‘Abbiamo un segretario che è Matteo Renzi, che ha convocato una riunione lunedì per poter discutere.  Tutto il resto non credo sia all’ordine del giorno. Massimo D’Alema dice che il Pd è seduto su una polveriera? Il Partito Democratico sta su una polveriera se c’è gente che mette fuochi sotto la sedia del Pd. Per stare tranquilli  bisogna che tutti abbiano la coscienza di lavorare alla costruzione dell’unità, non alla divisione. Quindi la domanda da farsi è chi è che sta mettendo le polveri’. Il ministro delle Infrastrutture non crede che il tema principale sia la data del voto per le politiche: . ‘Credo  che il tema di cui noi stiamo parlando oggi è fornire al Paese una legge elettorale adeguata per garantire la governabilità dopo la sentenza della corte. Intanto noi continuiamo a lavorare con il massimo dell’impegno’.

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